
Il 14 ottobre 1906 nasceva a Linden, nei pressi di Hannover, Hannah Arendt, una delle menti più lucide e coraggiose del Novecento. Filosofa, storica e politologa, Arendt ha dedicato la sua vita a comprendere le radici del potere, della libertà e del male, lasciando un’eredità intellettuale ancora oggi imprescindibile per chiunque voglia interrogarsi sul senso della politica e dell’agire umano.
Cresciuta in un ambiente ebraico colto e laico, Arendt studiò filosofia a Marburgo con Martin Heidegger, con il quale intrecciò anche una complessa relazione personale e intellettuale. Si laureò poi a Heidelberg sotto la guida di Karl Jaspers, con una tesi su Agostino.
L’ascesa del nazismo la costrinse nel 1933 a fuggire dalla Germania: prima a Parigi, poi, nel 1941, negli Stati Uniti, dove avrebbe trascorso il resto della sua vita. L’esperienza dell’esilio e la tragedia della Shoah segnarono profondamente il suo pensiero.
La fama di Arendt è legata soprattutto ai suoi studi sul totalitarismo, che analizzò nel capolavoro Le origini del totalitarismo (1951). In quest’opera, Arendt indaga le dinamiche politiche e sociali che hanno reso possibile l’emergere dei regimi nazista e stalinista, individuando nella perdita dei legami sociali e nella riduzione dell’uomo a semplice ingranaggio del potere i tratti distintivi del totalitarismo moderno.
Un’altra sua opera fondamentale, La banalità del male (1963), nacque dal suo reportage sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann. Arendt mostrò come il male possa essere compiuto non da mostri, ma da individui comuni che rinunciano a pensare, limitandosi a “eseguire ordini”. Una riflessione scomoda, che provocò accese polemiche ma che rimane una delle analisi più penetranti sul rapporto tra individuo, coscienza e responsabilità.
Nelle sue opere successive, tra cui Vita activa (1958) e Tra passato e futuro (1961), Arendt sviluppò una visione della politica come luogo della libertà e dell’azione condivisa. Contro ogni riduzione tecnocratica o burocratica del potere, difese l’idea che la politica debba essere lo spazio in cui gli esseri umani si incontrano, discutono, agiscono insieme. Pensare e agire: per Arendt, due dimensioni inseparabili dell’essere umano.
Hannah Arendt morì nel 1975 a New York, ma il suo pensiero continua a ispirare filosofi, storici, giuristi e cittadini di tutto il mondo. In un’epoca segnata da nuove forme di autoritarismo e da una crescente sfiducia nella politica, le sue parole risuonano con forza rinnovata: “Il male è l’assenza di pensiero”.
Rileggere Arendt oggi significa riscoprire la necessità di pensare con autonomia e di assumersi la responsabilità delle proprie azioni – condizioni fondamentali per mantenere viva la libertà.
(Salvatore Palita)






