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Gli undici omaggi nascosti nella copertina di "Dancing Days", il secondo romanzo di Marco Lepori

Quali sono questi maledetti undici omaggi che l’artista concettuale JC-Bone, di origine nipponica ma residente nel rione di Lu Pulpaggiju, ha voluto nascondere nella copertina del misterioso romanzo “Dancing Days”? Per quale motivo un libro ambientato tra gli anni novanta e il secondo decennio del nuovo millennio, omaggia in maniera così smaccata i grandi gruppi rock a cavallo tra i sessanta e gli anni settanta? Che cavolo c’entra un bambino immerso tra gli scatoloni, troppo piccolo e basso per raggiungere (e distruggere???) quel “gioco da grandi” che è un vecchio giradischi?
Cerchiamo di scoprirlo insieme, iniziando a svelare gli indizi. 


1. Abbey Road, The Beatles, 1969
La copertina più iconica della storia del rock? Si, come se quella del Sergent Peppers non lo fosse altrettanto! Per i complottisti della teoria sulla morte di Paul McCartney, la cover sarebbe piena di suggerimenti che confermerebbero il decesso. Uno di questi è proprio la targa di un Maggiolone Wolkswagen parcheggiato sullo sfondo, LMW28IF, sarà plausibile leggerci una sigla che sta per Linda McCartney Widow 28 If, traducibile come “La vedova Linda McCartney (moglie di Paul…), 28 se (non fosse morto…)”??? 

2. News of the World, Queen, 1977 
L’album di We Will Rock You e di We Are The Champions, ma anche di Spread Your Wings e It’s Too Late. Il sesto dei Queen che ormai sono lanciati verso l’Olimpo del rock e non solo. Per la copertina scelgono di utilizzare un immagine tratta da una rivista di fantascienza riadattata per l’occasione. Così abbiamo un gigantesco robot, privo di qualsivoglia sentimento, che acchiappa proprio i corpi inermi dei quattro musicisti della band. Di gran lunga la loro copertina migliore!

3. Strange Days, The Doors, 1968 
Secondo album dei Doors e quindi “quello più difficile nella carriera di un artista”! Copertina particolare dove i componenti del gruppo, per scelta di Jim Morrison, quasi spariscono, se si esclude un poster appeso al muro. Strani i giorni e strani i personaggi ritratti in un vicolo di Manhattan, potrebbe sembrare un film di Fellini, con nani, giocolieri, un trombettista che in realtà era un tassista e soprattutto quel forzuto sollevatore di pesi in primo piano che pare provenisse da un circo. 

4. Atom Heart Mother, Pink Floyd, 1970
La mucca più famosa del mondo, almeno dopo quella di Fruttolo. Cosa ci faccia nella cover dell’album che contiene una delle suite più belle di sempre non è semplice da capire. D’altronde cosa c’è di più alternativo di un immagine bucolica perfettamente in contrasto col contenuto dell’album? Ovviamente i discografici inorridirono davanti a questa scelta! Eppure sarebbe stato più semplice infilarci dentro un prisma spaziale, dal cuore del quale parte un arcobaleno di luce… 

5. Black Sabbath, Omonimo, 1970 Perché mai una figura femminile poco definita può fare paura a qualcuno? Per il loro esordio i Sabbath usano l’immagine di una vecchietta (in realtà non si capisce benissimo…) che aspetta ben coperta, nella fredda campagna inglese. A descriverla così, niente di particolarmente spaventoso, eppure provate a guardare con attenzione la copertina di quest’album, provate ora ad andare a letto con la porta aperta, o coll’anta dell’armadio socchiusa e provate a tenere aperti gli occhi nel buio della notte. E se la vecchietta (supposto che lo fosse veramente…) dovesse spuntare fuori all’improvviso in casa vostra? 

6. Rolling Stones, Exile on Main Street, 1970
Gli Stones se ne vanno in esilio in Francia per sfuggire al fisco inglese e lo fanno a modo loro, rotolando dentro la villa in Costa Azzurra del pirata Richards e registrando, tra un eccesso e l’altro, il loro miglior album di sempre, e mica lo diciamo solo noi! Per la cover scelgono un mosaico di immagini tratte da vecchi libri di fotografie, tra tutte la più iconica rimane quella del tizio che riesce a tenere tre palle di biliardo contemporaneamente in bocca! C’entra qualcosa col contenuto dell’album? Assolutamente no! 

7. Senza Titolo, Led Zeppelin, 1971
Meglio conosciuto come Led Zeppelin 4 (anche se non sta scritto da nessuna parte) o ancora come Zoso, dalla libera interpretazione di uno di quattro simboli presenti all’interno dell’album, quello disegnato da Jimmy Page. Per cui nel loro album più famoso, ma non per forza il più bello, non ci sono ne titolo, ne nome del gruppo, bastano le canzoni. Ci si potrebbe sedere a discutere sul significato di quel simbolo per ore e ore, senza riuscire a cavarne un ragno dal buco! 

8. The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, David Bowie, 1972
Dopo i primi anni di alterne fortune, David Bowie trova il successo planetario con questo album, e non è di certo un caso. La prima delle tante reincarnazioni di quella che diventerà una carriera lunghissima, lo vede nei panni di una rockstar glam, forse extra-terrestre forse no (si è detto tutto e il contrario di tutto a riguardo, ma alla fine chi se ne frega?), androgina, scandalosa, magra da far schifo e in piena dipendenza da cocaina! E così lo troviamo sulla cover dell’album, con la chitarra a tracolla (ma quella la suonava molto meglio la sua spalla Mick Ronson…) in attesa di un nuovo concerto. A proposito ma sono scatoloni quelli in basso alla sua sinistra? 

9. The Wall, Pink Floyd, 1979 
Ultimo grande concept dei Pink Floyd prima che Waters e Gilmour iniziassero a fare a cazzotti per via di visioni differenti sulle Falkland (o sarebbe meglio chiamarle Malvinas?). Monumentale doppio album da rubare di nascosto dalla raccolta di qualche vecchio zio rincoglionito. Il muro è quello che lentamente ogni buon artista che si rispetti costruisce attorno a sé, mattone dopo mattone. E non è anche il sogno di tanti che pubblicano libri? Erigere un muro attorno, ed essere giudicati esclusivamente per ciò che si scrive? Elena Ferrante si che che ha capito tutto di questo mondo! 

10. Iguana, Iggy Pop, 1947, miracolosamente fino ai giorni nostri! 
Non si tratta di un album in particolare, ma di un icona che smentendo tutte le più rosee aspettative, invece di schiattare già a metà degli anni ‘70 è ancora vivo e vegeto, e continua a salire sul palco mezzo nudo, sgusciante e pimpante, seppur zoppo e col fisico cadente di un anziano, perché quello è! Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe stato l’Highlander della compagnia, fregando sia Bowie che Reed, che in confronto a lui erano monaci di clausura, eppure così è stato. Lunga vita a Iggy Pop! 

11. Dancing Days, Houses of the Holy, Led Zeppelin, 1973 
L’indizio più semplice sta nel titolo del libro, una canzone (non tra le più conosciute) che ha l’atmosfera da fine del mondo, una cadenza da catastrofe imminente, da scioglimento dei ghiacciai, da incendio nella foresta amazzonica, da imminenza dell’inesorabile! E invece, il testo parla di Robert Plant che prende la macchina e se ne va bello fresco al mare con la sua fidanzata! Una bella presa per i fondelli, magari neanche tanto voluta…
Questa la lista, omaggio alla musica che fu, alle grandi copertine del passato, ma anche un rimando al fatto che un tempo le cover erano vere e proprie opere d’arte e non sempre anticipavano il contenuto dell’album. D’altronde non è che Atom Hearth Mother parli di vacche al pascolo o Exile degli Stones abbia dentro una canzone su un uomo con la bocca particolarmente larga (e non stiamo parlando di Mick Jagger!!!). Così come non è detto che l’ambientazione di Dancing Days (il libro) sarà collegata con quello mostrato in copertina! D’altronde noi non lo abbiamo ancora letto…

Giannicco Carrofico

Dancing Days, Catartica Edizioni, settembre 2019, Collana In Quiete
Copertina: layout grafico di Gabriele Cossu
Dancing Days di Marco Lepori: http://dancing.days/

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