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Scrivere per rompere gli stereotipi. Intervista a Omar Onnis


Con L’estate dei segreti, Omar Onnis torna alla narrativa con un romanzo pensato per un pubblico giovane, ma capace di parlare con efficacia anche agli adulti. Divulgatore storico, saggista e autore del blog SardegnaMondo, Onnis è una figura di riferimento dell’indipendentismo sardo e ha all’attivo numerose pubblicazioni. L’estate dei segreti è il suo secondo libro pubblicato con Catartica Edizioni, dopo il saggio Altri traguardi. Premesse, cronaca e analisi della campagna politica di Sardegna Possibile 2014, uscito nel 2022.
Con questo nuovo lavoro, Onnis non rinuncia ad affrontare temi cruciali che attraversano la società sarda: al centro della storia ci sono due adolescenti che tornano in Sardegna, terra d’origine della madre, e si ritrovano immersi in una realtà fatta di bellezza e contraddizioni, amicizie e pericoli, speculazione e misteri.
Ne abbiamo parlato con l’autore, per riflettere insieme su scrittura, identità e sul ruolo della letteratura nel rompere gli stereotipi che ancora imprigionano l’isola.

1) Omar, sei abituato a scrivere di storia e politica. Cosa ti ha spinto verso la narrativa, e in particolare verso quella per giovani lettori?

La narrativa è un mio grande interesse da quando ho imparato a leggere e in realtà ho sempre avuto l’idea di scrivere anche finzione. Ma non è mai stata un’ossessione. Ho esordito con un romanzo, La vincita, solo nel 2018, dopo che avevo già pubblicato articoli e libri di tema storico e politico. Era la storia giusta, mi chiamava, per così dire, e ho risposto. Nel caso di L’estate dei segreti, come spiego nella nota al testo alla fine del libro, si è trattato di pagare un debito con mio figlio e mia figlia. Avevo iniziato a raccontare una storia inventata là per là durante un viaggio e non l’avevo mai conclusa. Loro sono cresciuti, io sono rimasto con una storia in sospeso e con una promessa inevasa. Qualche anno fa ho buttato giù una stesura interlocutoria, molto lunga e disorganica, che alla fine, dopo che l’ho proposta all’editore, col lavoro di editing, è diventata un romanzo fatto e finito. Ed eccoci qua. Non sarà l’ultima opera di finzione che scriverò. A patto di avere qualche buona storia da raccontare.

2) Perché hai scelto di affrontare un tema complesso come la speculazione energetica in un romanzo rivolto ai ragazzi?

Mi piaceva coniugare l’incantamento della fiaba e dell’avventura con temi e questioni reali. La buona letteratura non è mai solo intrattenimento. Neanche quella per ragazzi. E le giovani generazioni hanno un forte senso del giusto e dell’ingiusto. Inoltre è importante che abbiano a disposizione punti di vista e stimoli culturali anche critici, non solo consolatori. Del resto, la speculazione energetica era già una minaccia che aleggiava sulla Sardegna diversi anni fa. Magari non troppo considerata dai media e dalla politica. È una coincidenza che il libro sia uscito in un periodo in cui il tema è diventato popolare e di senso comune. È un tema importante, così come quello della pandemia di Covid-19, non va rimosso o eluso.

3) Secondo te ci sono temi che la narrativa riesce a rendere più comprensibili o più incisivi rispetto ad altri strumenti, come il saggio o l’articolo?

Indubbiamente la narrativa può avere, e spesso ha, una valenza intellettuale che va oltre la pura e semplice narrazione di una storia inventata. Tutta la letteratura, e forse in modo ancora più accentuato quella cosiddetta “di genere”. Il noir, la fantascienza, il fantasy, ecc. Letteratura di genere che, soprattutto nell’ambito culturale italiano, è sempre considerata di serie B. Sbagliando. Certo, la narrativa non si sostituisce alla saggistica e alla divulgazione. È un altro modo di trasmettere contenuti. Con in più il mezzo della fantasia. Ma non la vedo come una concorrente della non fiction. Bisogna preoccuparsi di scriverla bene. Allo stesso modo con cui è necessario scrivere buona saggistica e fare buona divulgazione, con un forte senso di responsabilità verso chi legge. È pur sempre un compito politico, almeno in senso ampio.

4) Pensi che la letteratura possa contribuire a costruire una coscienza critica sul territorio, o almeno a superare l’immagine esotica e stereotipata che spesso ci viene attribuita – e su cui il mondo culturale spesso tende ad adagiarsi?

Sono sicuro che la letteratura ha questa potenzialità. Altro discorso è valutare se, in Sardegna, lo ha fatto o no.

5) La letteratura sarda contemporanea, salvo rare eccezioni, fatica a emanciparsi da una visione folkloristica. Perché secondo te è ancora così difficile superarla? È una responsabilità di chi scrive o va inquadrata in un contesto di equilibri di forza più ampio?

Sicuramente non è facile accreditarsi nell’ambito culturale e letterario italiano proponendo una visuale e dei temi che risultano estranei o controcorrente rispetto alle aspettative dell’editoria e della massa di lettori e lettrici. Però troppo spesso noto una certa compiacenza, a volte inconsapevole, a volte più furba, da parte di autrici e autori dell’isola, verso lo sguardo altrui, verso la visione stereotipata della Sardegna che domina oltre Tirreno. Il che significa anche che le poche traduzioni in altre lingue di opere sarde veicolano spesso contenuti che perpetuano la visione esoticista, folklorizzata o minorizzata dell’isola e di chi la abita. Non è un caso che in Italia della Sardegna sappiano e capiscano così poco, nonostante il gran numero di autrici e autori isolani, e che fuori dall’Italia ne sappiano e ne capiscano ancor meno. È un problema che va molto oltre l’ambito strettamente letterario o culturale.

6) Secondo te la cultura sarda saprà davvero uscire dal recinto degli stereotipi e affrontare finalmente i nodi della subalternità e della dipendenza? Cosa dovrebbe accadere perché questo cambiamento sia davvero possibile?

Servono tante cose, in vari ambiti e a vario livello. Considerato che la nostra popolazione è sempre più vecchia e debilitata, impoverita demograficamente e materialmente, è un compito sempre più difficile. Però so che la Sardegna ha una ricchezza culturale davvero impressionante e questa è o dovrebbe essere una delle nostre risorse più forti per perseguire una emancipazione collettiva in senso socio-economico e anche politico. Bisogna avere più coraggio e farsi carico della realtà, come persone singole e come collettività, dalle comunità locali fino al livello più generale, provando a prendere parola anche fuori dai confini sardi. Rimuovere dal discorso la condizione subalterna e dipendente dell’isola è comodo per fare carriera politica e per non pestare i piedi sbagliati. Ma è un compito che tutto l’ambito culturale sardo – dalla letteratura allo spettacolo, dalla musica all’arte, alla scuola e all’università – deve assumersi. E oggi forse con più urgenza che in passato.


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