"Andai nei boschi". Recensione di un “canzoniere contemporaneo”
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Foto: Zaira Zingone |
di Vanna Dettori
Ritengo capiti a tanti che, accolto un libro tra le mani, ci si interroghi sulla finalità della scrittura, la finalità che l’autore si è proposto con quell’atto che cristallizza l’attimo, rendendolo eterno ed irripetibile.
Si sa, fra il lettore di qualsiasi
opera narrativa e il suo autore viene stipulato un tacito patto, in base al
quale chi legge astrae dal mondo esterno e si immedesima nella vicenda,
partecipando fino in fondo alla vita del personaggio che la anima.
“Andai nei boschi” è un
libro a presa diretta, empatico, che aborra il piattume emotivo a vantaggio di
reazioni vive e forti, rilascia pulsazioni umane credibili, turbamenti
interiori complessi che scatenano, meglio suscitano nel lettore un senso di
appartenenza, appunto, si diceva, un forte legame empatico che porta a
rispecchiarsi ora nei versi ora nella prosa.
Nell’accostarsi ad “Andai
nei boschi”, il lettore deve mettere a tacere la sua parte razionale e
lasciarsi trasportare dall’armonia che regola l’universo e dai suoi elementi;
deve accettare di varcare il confine per entrare nel bosco, pur sapendo che il
suo procedere non sempre sarà lineare, ma potrebbe invece spingerlo, attraverso
un gioco di immedesimazione a fare i conti con realtà di cui, talvolta, si
preferisce tacere per paura di rischiare.
Un “canzoniere
contemporaneo” nel quale frammenti lirici e narrativi si compenetrano senza
soluzione di continuità, in una struttura a vasi comunicanti altamente
suggestiva.
Una poesia in prosa che, per certi versi, è un ossimoro, una contraddizione: l’inserto di prosa nell’ambito di un libro di poesia, possiede armonia e diviene la poesia narrata di un universo femminile che si apre all’altro. È l’Io che diviene sé, assommando tante fra le sfaccettature dell’animo femminile: tenacia, mediazione, coraggio, fantasia, perseveranza, generosità, desiderio, fiducia, sogno ed illusione.
Ed è nel racconto onirico che si rivela la creatività di Zaira Zingone, la prorompente fantasia, la libera associazione, le significative simbologie, accompagnate ad una dose di mistero a tratti imperscrutabile che riporta ad entità affascinanti.
Il sogno appartiene al
sognatore e, sebbene in quest’opera non sembri possedere capacità profetiche né
essere trasmesso da una mente all’altra, è suggestiva l’idea che sia reale.
Il sogno come cedimento
della cesura che permette di ricreare una presenza altrimenti impossibile.
Tuttavia i pensieri del
sogno accedono nell’autrice sempre alla coscienza: come in una danza si fondono
insieme concretezza, consistenza, corporeità e noumeno, trascendenza come in
quello che a me piace chiamare il “romanzo di Edith”, allegoria di noi, sonno
narrante in cui fantasmi ed Eros sono intrinsecamente legati e in cui l’Eros
nel senso più alto di Amore sembra operare in stretta connessione con tutto ciò
che attiene alla facoltà immaginifica e, allo stesso tempo, a quanto è reale.
Il romanzo di Edith è
proiezione dell’autrice, transfert e trasfigurazione, dimostrazione che,
attraverso l’atto della scrittura, possiamo vivere mille esistenze in una sola
volta. Visioni oniriche con pretesa di realtà che solo sul finale si rivelano e
disvelano come tali.
Ma il sogno di Zaira è
sempre un sogno lucido che non abbandona mai la chiarezza del pensiero e della
coscienza, svanisce infatti in molte liriche la percezione del sogno e totale è
l’inserimento nella realtà tangibile.
Mi chiedo quindi quale sia
la finalità dell’autrice e del suo scrivere: in Zaira Zingone è un atto di
coscienza che muove dall’osservazione diretta e dall’analisi mai superficiale
della propria interiorità rappresentata da pensieri, stimoli, pulsioni prodotti
dal pensiero stesso che concorrono a costruire l’identità consapevole
dell’autrice.
Nel ritmo alternato di
poesia e prosa, il soggetto, riflettendo sulle sue esperienze e nutrendosi
delle sue illusioni, assume sé medesimo a oggetto di studio. Le parole di Zaira
designano, pur nella differenziazione delle tematiche trattate, un fenomeno
unitario in cui l’individuo concentra la sua attenzione sulle proprie
esperienze emotive e cognitive in un processo psicologico di osservazione dei
propri contenuti e processi mentali, visioni oniriche e realtà vissuta a fronte
di un’urgenza di raccontare più che agli altri a sé stessa, senza più paura, né
reticenza la propria vita, e, al contempo, specchio ritmato per altre
esistenze.
Il bosco e i suoi
camminamenti, talvolta ripidi, altre volte lineari, un bosco in cui puoi
perdere i compagni di marcia, perdere la stessa te e ritrovarla, dove accogli
il dono più grande della maternità e dove scopri che la vita di mezzo è sempre
la migliore. E ‘il bosco dei gesti quotidiani della domenica, il luogo del
rischio e del riscatto.
Mi piace leggere tra i ringraziamenti quello dell’autrice a sua madre, donna che accoglie senza giudizio quanto emerso da questo andare di Zaira nel bosco. Un bosco in cui l’autrice entra ancora piccola.
Vanna Dettori, docente di lettere ad Alghero, ha curato alcune recensioni per il portale letterario gestito da Neria de Giovanni (letterario.net) ed è membro di giuria per il Premio letterario Romolo Liberale sezione giovani (Abruzzo).
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