Header Ads

test

Gli Operatori Culturali e la Speculazione Energetica: Riflessioni su un Ruolo Cruciale per il Futuro


Punto e a capo

Negli anni ’60 e ’70, la Sardegna è stata costretta a importare un modello di industrializzazione selvaggia, che oggi lascia dietro di sé solo macerie, disoccupazione e inquinamento.

In questi giorni si presidia il porto di Oristano, dove sono stoccati elementi di nuove gigantesche pale eoliche che andranno a trasformare radicalmente il territorio, rendendolo sempre più simile a una immensa industria fatta di torri di metallo (in terra e in mare), alte fino a oltre 300 metri e distese di pannelli fotovoltaici che andranno a sostituire campi coltivati e pascoli. Contemporaneamente, si difende la terra di un cittadino di Selargius dall’esproprio per la realizzazione del Tyrrhenian Link, un enorme elettrodotto sottomarino che Terna intende costruire nel bel mezzo del Mediterraneo, calpestando ancora una volta gli interessi della comunità, inquinando e mettendo ulteriormente a rischio l’ambiente.

Quello a cui siamo di fronte è una nuova forma di colonizzazione della Sardegna, portata avanti sotto la parola d’ordine della “riconversione energetica”. Di fatto, si tratta di una speculazione colossale, con le multinazionali che chiedono di installare impianti eolici e fotovoltaici ovunque: su colline, montagne e nel mare
. Questa operazione avviene senza rispettare vincoli paesaggistici e culturali, con impianti previsti persino nei pressi di siti archeologici di grande importanza, come la zona di Barumini, dove sorge Su Nuraxi, e in tratti di costa sensibili dal punto di vista ambientale ed economico. Inoltre, i progetti eolici offshore minacciano di interferire con le rotte migratorie dei fenicotteri. Quello a cui stiamo assistendo è una gigantesca operazione coloniale che rischia di compromettere per sempre l’ambiente e il suo ecosistema.

In Sardegna, ci sono ben 738 richieste di impianti eolici, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di oltre 55 milioni di persone, su un’isola che ospita poco più di un milione e mezzo di abitanti. Davanti a questi numeri, è evidente l’enorme portata del progetto speculativo che si sta abbattendo sull’isola.

Nel mentre, pare che soffi “una brezza di sale, oleandro e idrocarburi aromatici provveniente dalla Saras...”

Con l’avanzare dell’estate, si susseguono numerosi appuntamenti culturali, festival e rassegne. Saranno occasioni di dibattito e riflessione o solo puro svago e commercio? C’è consapevolezza del problema tra chi promuove e fa cultura in Sardegna, o si preferisce ignorare la realtà? In questo contesto la cultura non può restare neutrale ma deve poter sollevare un dibattito collettivo, deve cioè porsi come motore di riflessione e, se necessario, esprimere il dissenso verso le scelte che minacciano l’ambiente e il futuro dell’isola.

L’industrializzazione di ieri e di oggi ha in comune il volto subdolo e la promessa di sviluppo. Ha in comune l’incapacità dei sardi di non farsi ingannare dalle promesse della classe dirigente. Vecchia o nuova, la musica non cambia: non decide la Sardegna se si devono innalzare torri altissime, e la moratoria della Todde non sposta di una virgola i rapporti di forza tra gli interessi dei sardi e quelli dello Stato italiano.

Potremmo riflettere a lungo sulla necessità di produrre e accumulare così tanta energia, utile allo sviluppo delle nuove tecnologie, anche e specialmente in campo militare. Le contraddizioni che la nostra società deve affrontare sono enormi, ma una cosa è fin troppo tangibile: lo Stato italiano ha deciso per noi,  ha deciso di svendere la nostra terra alle multinazionali del vento e del sole, e la politica non farà un solo passo in difesa della nostra terra, se non saremo noi a fare la massima pressione affinché si metta un reale STOP a questo scempio.

La cultura deve fare la propria parte.
Ciascuno di noi deve fare la propria parte.
Perché rendiamoci conto che se anche una minima parte di questi progetti andranno in porto, non solo il paesaggio, ma anche il futuro di quest’isola cambierà radicalmente.
È davvero questo il modello di sviluppo chevogliamo?

(Giovanni Fara)

Nessun commento