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“Il candidato”: un romanzo politico per difendere la Sardegna. La parola a Maurizio Onnis


Qualche giorno fa abbiamo parlato su indielibri del romanzo Il candidato di Maurizio Onnis, edito da Catartica Edizioni, che affronta l’attuale tema della speculazione energetica in Sardegna. Un libro che racconta una resistenza reale, radicata nel territorio e nelle vite di chi lo abita. Per approfondire meglio le ragioni che hanno spinto Onnis a scegliere la forma narrativa del romanzo per un tema così politico, e per capire il significato delle sue riflessioni sulla Sardegna e sulla questione energetica, abbiamo incontrato l’autore per parlarne assieme.

1) Maurizio, sei sindaco di un piccolo centro della Sardegna che ha vissuto in prima linea il dibattito sulla speculazione energetica, e conosci bene il mondo dei comitati. Perché hai scelto il romanzo – e non un saggio, un’inchiesta o altro – per affrontare un tema così politico?

Il romanzo, al contrario del saggio, è più alla portata di un pubblico largo, più facilmente comprensibile e leggibile. E poi perché il romanzo mi permette di filtrare tutte le vicende che abbiamo vissuto in questi anni attraverso la memoria, i sentimenti, le emozioni e le impressioni. Il romanzo, in definitiva – almeno per come lo intendo io, in questo caso – è più “caldo” di un saggio, di un’inchiesta o di altri generi.

2) Il libro è attualmente in tour in diversi paesi della Sardegna. Che tipo di reazioni sta suscitando, sia tra i lettori che tra gli amministratori?

Ovviamente, chi viene alle presentazioni del libro è una persona interessata al tema della speculazione energetica e desidera conoscerne i diversi aspetti o approfondire ciò che già sa. Quindi, la reazione che si suscita tra i lettori è senz’altro di interesse.
Per quanto riguarda gli amministratori, non mi risultano reazioni particolari: sono stato invitato in diversi luoghi, ma mai da un’amministrazione locale.
Nel romanzo si racconta una vicenda ancora in divenire, ma che ha comunque bisogno di essere raccontata, conosciuta e capita. Le presentazioni sono un momento importante, sia per me sia per i lettori, perché ci aiutano a tracciare una linea rispetto a quello che sta accadendo.

3) La Sardegna che descrivi nelle pagine del tuo libro è percorsa da tensioni, resistenze, ma anche da rassegnazione. Come vedi oggi il rapporto tra i sardi e il loro territorio?

Il rapporto tra i sardi e il loro territorio è un rapporto viscerale. Il paesaggio forma l’identità dei sardi. Penso soprattutto a chi vive fuori dai grandi centri urbani, che – come sappiamo – non sono poi così grandi e non sono neanche tanti. Il paesaggio, appunto, modella l’identità delle persone, ed è inevitabile che questo rapporto sia profondo, quasi fisico.
Dall’altro lato, però, spesso questo stesso rapporto diventa puramente utilitaristico. Intendo dire: quando si tratta di difendere quel territorio, di conservarlo al meglio, di svilupparlo mettendo in armonia le attività umane con l’ambiente, ecco, lì molte volte i sardi non sanno fare la loro parte.

4) Ma può esistere una politica energetica democratica? E cosa dovrebbe prevedere, in concreto?

Una politica energetica democratica è una politica dell’energia che nasce dal basso, e quindi si basa prima di tutto sui reali bisogni delle persone. Non punta al profitto come obiettivo principale e tiene conto di tutta la filiera: dalla produzione alla distribuzione fino al consumo. Vista così, è una politica completamente diversa da quella attuale.
Un esempio si può trovare in alcune cooperative che si occupano di produrre e vendere energia ai propri soci, ne esistono anche in Italia. Sono realtà che si muovono secondo criteri mutualistici: riescono a stare sul mercato, ma non si comportano certo come i grandi colossi dell’energia elettrica.
Naturalmente, un modello del genere può funzionare solo se c’è una forte consapevolezza da parte dei cittadini, cosa che oggi manca e che va costruita, anche se è un processo lungo. E poi ci sarebbe bisogno anche di leggi diverse, perché quelle attuali – lo sappiamo bene – sono fatte per favorire la concentrazione del potere in poche mani: produzione, distribuzione, ve
ndita... e quindi anche gli incassi legati all’energia.

5) Tu hai pubblicato con grandi editori e hai una grande esperienza del settore. Perché hai scelto proprio un editore sardo per questo libro?

Ho scelto un editore sardo perché volevo che questo libro, il primo che pubblico a tema sardo, fosse curato all’interno della filiera editoriale dell’isola.
Penso che un editore sardo, soprattutto se militante, possa curare un testo del genere meglio di quanto farebbe un editore continentale. Almeno, questo è il mio auspicio.

6) Il tuo romanzo sfugge alla retorica folkloristica e un po’ esotica attraverso cui si descrive spesso la Sardegna in ambito letterario. Pensi che il mondo della cultura in Sardegna saprà emanciparsi da certi stereotipi e conformismi? O continuerà a subire gli equilibri consolidati attraverso i quali la politica soprattutto, attraverso la cultura e i suoi operatori culturali, cerca e costruisce consenso?

Penso che il mondo della cultura in Sardegna fatichi ancora a emanciparsi da stereotipi e conformismi. Ho scritto questo libro pur non essendo considerato un intellettuale o una personalità riconosciuta della cultura sarda. In Sardegna, invece, molti si presentano come tali e vengono considerati esponenti della cultura, ma non si interessano a questi temi.
Il fatto che un tema come quello che affronto nel mio libro, non venga promosso da chi dovrebbe rappresentare la cultura sarda è un segnale chiaro di conformismo.
L’intellettualità e la cultura in Sardegna tendono a uniformarsi a schemi consolidati, senza metterli in discussione.

7) Scrivi che “il finale di questo libro dobbiamo ancora scriverlo, tutti assieme”. Che ruolo può avere, in questo senso, la letteratura nella costruzione di una coscienza collettiva a difesa del territorio?

Tutto ciò che fa cultura, nel senso più ampio, può contribuire a costruire una coscienza collettiva a difesa del territorio. Non solo la letteratura, ma tutti i mezzi di comunicazione, compresi i social, uniti alla presenza fisica sul territorio.
Detto questo, una coscienza collettiva a difesa del territorio si costruisce prima di tutto dalle basi, che sono la scuola e l’educazione in famiglia. Se queste mancano, tutti gli sforzi sul territorio rischiano di essere inutili.

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