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Introduzione alla figura dell’Editor. Una Professione nell’ombra


Umberto Eco, in un’intervista del 2001 a La Repubblica, disse: “Una battuta che ormai la leggenda attribuisce a vari maestri dell’editoria, da Arnoldo Mondadori a Valentino Bompiani. Una signora chiede che cosa faccia un editore: scrive libri? No, risponde l’editore, quelli li scrivono gli autori. Allora li stampa? No, quello lo fa il tipografo. Li vende? No, lo fa il libraio. Li distribuisce alle librerie? No, quello lo fa il distributore. E allora che cosa fa? Risposta: tutto il resto”.

E l’editor? Qual è invece il suo compito?

La figura dell’editor è una delle meno conosciute in ambito editoriale. L’editor è il primo lettore di un testo e il suo compito è quello di rappresentare una sorta di “lettore collettivo”, capace di farsi carico delle aspettative e delle attese della pluralità dei soggetti che riceveranno il testo una volta pubblicato. Attenzione: mio cugino che ha fatto il classico o mia mamma che mi vuole bene non può essere definito “editor”. Con “primo lettore di un testo” si intende una lettura analitica di tutte le componenti di un’opera in maniera professionale. 

Ma non solo.

Nella narrativa letteraria il lavoro di editing consiste anche in un controllo del testo dal punto di vista del funzionamento dell’intreccio e della coerenza linguistica. Può accadere che si sviluppi una partecipazione più profonda, e si può anche arrivare alla co-invenzione tra editor ed autore di alcuni aspetti dell’intreccio. Può succedere che l’editor si accorga, per esempio, che ci sono dei vuoti nella scansione del tempo, nel ritmo o dei buchi narrativi e che li segnali all’autore. Si tratta di una cooperazione: l’editor affianca l’autore che avrà sempre l’ultima parola.

Nabokov diceva che “l’editor è una brutale figura paterna”.

Non riscrive e non ruba ma stimola l’autore a impegnarsi di più, a ricavare il massimo dalle proprie capacità, a far emergere i punti di forza di uno scritto. Se ci si pone nell’atteggiamento giusto, qualsiasi autore avrà la possibilità di imparare molto da un bravo editor. Ciò significa migliorare più in fretta rispetto al lavoro in solitaria, e soprattutto diventare più autonomi per il prossimo romanzo. Chiaramente anche l’editor dovrà porsi nell’atteggiamento giusto, vale a dire educazione e professionalità e giustificare i propri suggerimenti con le dovute argomentazioni.

La riscrittura è una pratica da debellare: a ciascuno il suo. Il mestiere di riscrivere il testo o di sviluppare la storia da un’idea è affidato al ghostwriter. L’editor è un suggeritore, è il punto di vista esterno, è la lettura con distacco, fredda e senza emotività che nessuno scrittore può avere perché troppo attaccato alla propria opera, troppo coinvolto, e per quanto si possa avere una penna mimetica è impossibile replicare la scrittura di un autore.

C’è chi dice che l’editor sia un male per lo scrittore perché va a modificare, sporcare e manomettere le intenzioni originarie dell’artista. Ma chiariamo una questione. La figura dell’artista solitario che forgia la propria opera in lunghe notti insonni è un fondo di magazzino pseudoromantico, un sogno o una figura archetipica. Nessun autore ha mai scritto un libro o un racconto interamente da solo. Tutti gli scrittori, anche i più grandi, hanno sempre bisogno di un editor. E in passato, prima che si sentisse il bisogno di affidarsi a un professionista formato ad hoc, il ruolo di editor veniva affidato ad altri scrittori o letterati o circoli letterari che agivano da semplici ascoltatori e dispensatori di consigli.

Per usare ancora una volta le parole di Umberto Eco, l’editing è “la capacità di controllare e ricontrollare un testo in modo che non contenga, o contenga entro limiti sopportabili, errori di contenuto, di trascrizione grafica o di traduzione, là dove neppure l’autore se ne sarebbe accorto”.

Poniamo un’altra domanda. Perché un autore avrebbe bisogno di un editor?

Ma a questo risponderemo la prossima volta.

(Giuseppe Brundu)

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