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Il Successo di Rie Kudan e le Incognite dell'Intelligenza Artificiale


La recente vittoria di Rie Kudan al 170° Premio Akutagawa, dedicato all’illustre autore giapponese vissuto tra l’Ottocento e il Novecento, ha catalizzato l’attenzione dei media di tutto il mondo. La scrittrice ha rivelato che circa il 5% del libro, corrispondente a un ventesimo del suo contenuto, è stato generato attraverso ChatGPT, uno dei programmi di Intelligenza Artificiale (A.I.) più diffusi. Una scelta dettata dall’argomento distopico del libro, che ha ricevuto elogi dalla giuria per la sua capacità di aprire un dibattito sulla valutazione di opere di questo tipo.

La storia è ambientata in un imprecisato futuro, in cui l’Intelligenza Artificiale ha un ruolo chiave. Si tratta di un romanzo fantapolitico. Uno dei dettagli su cui, i media italiani non si sono però soffermati, preferendo mettere insieme, in modo un po’ forzato, le notizie più discusse dello scorso anno circa l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale. 

La stampa italiana ha preferito evidenziare la preoccupazione suscitata dal fenomeno dei libri scritti con l’assistenza dell’A.I. che si stanno rapidamente diffondendo sui siti di e-Commerce. Questo fenomeno sembra essere più legato all’assenza di filtri nelle piattaforme che promuovono l’autoproduzione e il self-publishing, creando un terreno fertile per sfruttare la buona fede dei lettori. Su queste piattaforme, non è raro imbattersi in opere letterarie di scarso valore, ma anche in guide turistiche su luoghi che in realtà non esistono. Si tratta di vere e proprie truffe che rimettono al centro l’importanza di un filtro nella valutazione editoriale, il quale dovrebbe essere garantito dalle case editrici, laddove svolgano effettivamente un lavoro di selezione delle opere proposte. Secondo l’agenzia di stampa Reuters, solo nel 2023, su Amazon USA, sono stati contati oltre 200 titoli di questo tipo

Un’altra questione, spesso riportata nello stesso articolo che rilanciava la notizia della vittoria del romanzo di Rie Kudan, è la protesta di oltre 10.000 scrittori americani, unanimi nel richiedere una regolamentazione dell’uso dell’Intelligenza Artificiale, soprattutto in relazione all’utilizzo di materiale coperto da copyright. In rete, ad esempio, ci sono libri, saggi, articoli, poesie e una vastissima gamma di testi, e non solo, che vengono sistematicamente impiegati dall’A.I. per migliorare l’output, ossia il risultato generato in risposta alle richieste degli utenti, rendendolo sempre più preciso e simile all’operato umano. In questo quadro emerge la necessità che gli autori siano tutelati e adeguatamente compensati per aver contribuito ad alimentare l’intelligenza artificiale. Vale la pena ricordare che lo scrittore americano George R. R. Martin ha iniziato una causa legale contro OpenAI, accusando l’azienda di sfruttare i suoi romanzi per addestrare ChatGPT

La riflessione si espande poi all’ampio utilizzo di questa tecnologia nei media, da parte di colossi tecnologici come Google, Microsoft, Facebook, Amazon, Apple e da parte dei governi. Questo impiego potrebbe innescare una censura automatizzata, la manipolazione dell’informazione e una sorveglianza massiva degli utenti, minando così la libertà di espressione e mettendo a repentaglio la legittimità dei processi democratici. Pertanto, c’è ben più di cui preoccuparsi rispetto a un libro scritto con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, poiché tale utilizzo non è direttamente correlato al processo creativo, ma solleva questioni etiche e di potere. 

Ma veniamo appunto alla questione che anima di più gli ambienti letterari. È realistico immaginare di comporre un intero libro affidandosi completamente all’intelligenza artificiale? Attualmente, la risposta è decisamente negativa. La produzione di testi da parte dell’intelligenza artificiale risulta spesso banale e superficiale, seguendo uno stile standardizzato e conforme al “politicamente corretto”. Manca la capacità di immedesimarsi nell’animo umano, di sperimentare emozioni e di creare quell’imprevedibilità intrinseca alla natura umana.  

Anche per questo, in moltissimi articoli dei giornali, soprattutto online, seppur trattando argomenti differenti, troverete le stesse espressioni. ChatGPT risponde quasi sempre in modo automatizzato, assemblando frasi con un approccio meccanico. 

Nel corso di un premio letterario di cui sono stato membro di giuria, abbiamo notato che alcuni partecipanti avevano inviato testi caratterizzati da frasi banali e ripetitive, utilizzando un linguaggio simile e standardizzato. Abbiamo quindi deciso di chiedere a ChatGPT di creare un racconto in linea con il tema del concorso. I risultati ottenuti sono stati sorprendentemente simili alle frasi standard utilizzate all’interno dei testi che ci avevano “insospettito”. È possibile che alcuni autori abbiano pensato ingenuamente di poter sfruttare una sorta di scorciatoia, sperando di vedere il proprio nome stampato su un libro. Tuttavia, se questo è stato il caso, i risultati sono stati decisamente insoddisfacenti.  

Ma può dirsi originale un’opera realizzata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale? Il critico letterario Enrico Thovez aveva accusato Gabriele d’Annunzio di aver attinto a piene mani da altri autori tanto che, tra il 1882 e il 1900, sulla storica rivista La Gazzetta Letteraria, comparvero ben 140 articoli sulla questione. Questione evidentemente non nuova ma ormai archiviata dalla critica, poiché è sottinteso che la bravura di uno scrittore sia anche nel rielaborare i testi e il linguaggio appreso, e lo stesso D’Annunzio, nel 1896, entrato in polemica con André Maurel sul quotidiano francese Le Figaro scrisse: “L’originalità vera di uno scrittore risiede del resto in quella virtù per la quale tutto ciò che egli tocca pare divenuto sua proprietà.” 

In conclusione, si delinea chiaramente che la questione non risiede tanto nella tecnologia in sé, quanto nell’uso che se ne fa e negli scopi per cui chi ne detiene il controllo e la proprietà, decide di impiegarla. 

(Giovanni Fara)

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