
Il 5 ottobre 1934, a soli 29 anni, si spegneva a Parigi Jean Vigo, il regista che in appena quattro film seppe cambiare il destino della settima arte.
Nato nella capitale francese il 26 aprile 1905, Vigo portava sulle spalle un’eredità pesante: il padre, Eugène Bonaventure de Vigo, noto anarchico e direttore del giornale Le Bonnet Rouge, era stato trovato morto in carcere nel 1917 in circostanze mai chiarite. Jean aveva solo dodici anni, già minato dalla tubercolosi che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Dopo anni difficili tra collegi e sanatori, il giovane Vigo si trasferì a Parigi, dove incontrò Elisabeth Lozinska, detta Lydou, che divenne la compagna della sua vita. Insieme iniziarono a sognare un futuro nel cinema. Grazie all’amicizia con Boris Kaufman, fratello del grande Dziga Vertov, nacque il suo primo film, À propos de Nice (1930), un documentario corrosivo che mostrava i contrasti sociali della Costa Azzurra con uno sguardo surrealista e dissacrante.
Seguì Taris ou la natation (1931), dedicato al campione di nuoto Jean Taris. Quello che doveva essere un semplice documentario didattico si trasformò in un piccolo gioiello di sperimentazione visiva, con inedite riprese subacquee.
Il vero salto di qualità arrivò con Zéro de conduite (1933), film autobiografico e scandaloso, ambientato in un collegio dove un gruppo di ragazzi si ribella alla disciplina degli adulti. Censurato in patria e bollato come “antifrancese”, il film fu riscoperto solo dopo la guerra, diventando un modello per François Truffaut e Lindsay Anderson.
Il capolavoro definitivo, però, fu L’Atalante (1934), girato tra mille difficoltà di salute. La storia di due giovani sposi a bordo di una chiatta sul fiume Senna fu massacrata dai produttori, che ne cambiarono il titolo e inserirono una canzone di moda. Solo molti anni dopo, grazie a un restauro, il film tornò a mostrarsi nella sua bellezza originaria. Oggi è considerato uno dei vertici assoluti della storia del cinema.
Jean Vigo morì la sera del 5 ottobre 1934, stroncato dalla malattia. Accanto a lui, la moglie Lydou, che non resse al dolore e morì pochi anni dopo. In vita conobbe solo insuccessi e censure; in morte, divenne il simbolo di un cinema libero, poetico e ribelle.
(Salvatore Palita)






