8 ottobre 1869 nasce Komitas

Controtempo

Padre Komitas. Una delle figure più toccanti del rapporto tra arte, memoria e trauma storico.

L’8 ottobre 1869 nasceva a Kütahya, nell’Impero Ottomano, Soghomon Soghomonian, destinato a diventare noto con il nome monastico di Komitas. Oggi è ricordato non solo come il fondatore della musica nazionale armena, ma come una delle figure più toccanti del rapporto tra arte, memoria e trauma storico. La sua vita attraversa i confini fra sacro e profano, fra ricerca etnomusicologica e tragedia collettiva, fino a incarnare la ferita del genocidio armeno del 1915.

Rimasto orfano in tenera età, Komitas fu accolto nel seminario di Etchmiadzin, centro spirituale dell’Armenia, dove ricevette una formazione religiosa e musicale rigorosa. Ordinato monaco, scelse il nome Komitas in omaggio a un poeta del VII secolo, segno precoce del suo desiderio di unire la spiritualità alla creazione artistica. Fin dagli anni giovanili mostrò una sensibilità rara per la voce del popolo: riconobbe nel canto tradizionale la lingua viva dell’identità armena, e fece di esso la materia principale della sua opera.

Nel corso della sua vita raccolse e trascrisse oltre tremila melodie popolari armene, curde, persiane e turche, viaggiando di villaggio in villaggio. In un’epoca segnata dall’occidentalizzazione forzata e dalla perdita delle tradizioni orali, Komitas si pose come custode della memoria sonora di un popolo. Le sue ricerche, rigorosamente documentate, lo rendono uno dei precursori dell’etnomusicologia moderna.

Dopo gli studi accademici alla Königliche Hochschule für Musik di Berlino, Komitas cercò di fondere l’armonia occidentale con la struttura modale del canto armeno. Il risultato fu una musica di limpida originalità: una spiritualità sonora che restava radicata nella terra ma aperta al mondo.
Nelle sue opere corali, come Antuni o Al Ayloughs, emerge una tensione costante tra malinconia e fede, solitudine e appartenenza. Komitas non compose per il virtuosismo, ma per restituire dignità estetica alla semplicità popolare.

Nel 1915, all’alba del genocidio armeno, Komitas venne arrestato insieme a centinaia di intellettuali a Costantinopoli. Deportato verso l’interno dell’Anatolia, assistette alle violenze e alle deportazioni di massa che sterminarono circa un milione e mezzo di armeni.
Fu liberato dopo pochi mesi grazie all’intervento di diplomatici stranieri, ma l’esperienza lo segnò irreversibilmente. Da quel momento, la sua mente cominciò a cedere: il trauma del genocidio trasformò la voce del musicista in un silenzio totale.

Negli anni successivi visse tra ricoveri e isolamento, fino alla morte, nel 1935, in un ospedale psichiatrico di Parigi. Non compose più, ma il suo silenzio divenne simbolo. Nella memoria collettiva armena, Komitas è colui che ha ascoltato troppo: il custode di tutte le voci cancellate.

Oggi Komitas è considerato il padre della musica armena moderna. Le sue trascrizioni hanno salvato dall’oblio un intero patrimonio orale, mentre le sue composizioni continuano a essere eseguite nei cori e nelle chiese armene di tutto il mondo.
Il Museo Komitas di Yerevan conserva i suoi manoscritti, le sue lettere e le partiture che testimoniano una ricerca costante di armonia tra identità e universalità.

Più che un semplice compositore, Komitas è divenuto un archetipo culturale: il simbolo di un popolo che canta anche nel silenzio, che trasforma la memoria del dolore in forma estetica. La sua vita e la sua follia raccontano, con una forza che oltrepassa le parole, come l’arte possa diventare non solo espressione, ma resistenza.

(Salvatore Palita)

Advertisement

Lascia un commento

Seguici
  • Facebook38.5K
  • X Network32.1K
  • Youtube19.9K
  • Instagram18.9K
Seguici
Cerca
Popular Now
Loading

Signing-in 3 seconds...

Signing-up 3 seconds...

Carrello
Cart updating

ShopYour cart is currently is empty. You could visit our shop and start shopping.