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“Monumenti aperti”, un racconto di Marco Lepori


La prima cosa, bisogna dire che la compagnia non era delle migliori. C’eravamo io, Valerio Diplomatico e Paolo Battiscopa che ogni volta che entrano alle mura vecchie, danno il peggio del loro peggio. Che c’erano tutti questi monumenti aperti non lo sapevamo nemmeno; abbiamo visto queste giovenche molto fresche con le magliette bianche, Valerio gli ha fatto: «e voi dell’ACR siete?» loro hanno risposto che erano dell’Azuni e stavano facendo i monumenti aperti. Così abbiamo messo fatto e ci siamo aperti un po’ pure noi. Alla chiesa di San Giacomo gli dò un bel sette, sette e mezzo, ché l’avevo vista solo col cancello chiuso e una volta stavamo scavalcando per entrare a farci non so cosa. Dentro è grande, ma per essere una chiesa è piccola. E il posto dove i preti si andavano a fumare qualche sigaretta in santa pace e piccolo pure quello e si vede che a fumare ci dovevano andare a due per volta massimo tre. Al duomo non ci hanno fatto entrare perché avevamo la bottiglia di Dhrer in mano e dice che non si può. Valerio Diplomatico, verità si dica, c’aveva un frappé perché prima del mezzogiorno come regola sua non beve birra, ma dopo... ohia se dà dentro di brutto, che già lo conoscono tutti le qualità che ha. Comunque i giovenchi all’entrata spalleggiati da quelli del municipio non hanno fatto entrare nemmeno lui. Tanto il duomo già l’avevo visto ai funerali e ai battesimi, e poi vista una chiesa viste tutte, amen. Infatti a Santa Caterina non ci siamo entrati per nulla. Ho avuto però una discussione con un giovenco quattr’occhi, che a tutti i costi voleva farci la guida e dev’essere che pensava di sapere tutto lui. Gli ho detto: «Bello bé, in questa piazza la guida te la posso fare io!», ed era vero perché ogni angolino aveva la storia sua. Così la guida gliel’ho fatta davvero. Là era dove tal dei tali (il nome vero non l’ho detto che non si sa mai che erano parenti…) c’ha avuto la prima overdose; lì, e intanto indicavo col dito i vari posti che raccontavo, è dove si sono baciati coso e cosa che lei poi è rimasta incinta la sera stessa; quel portone a destra lo usavamo come pisciatoio, e così via. E te l’ho visto il giovenco con gli occhiali interessato, ma pure allo stesso tempo mezzo convinto che gli stavo raccontando un sacco di cazzate, pure se c’era Battiscopa a fianco a me che faceva di sì con la testa e gli diceva: «Vero è! Se te lo sto dicendo che è vero!» Come che la parola sua valeva più della mia. Invece lui queste cose può saperle solo per sentito dire, ché all’epoca era a Santo Bastiano per la storia delle cambiali della nonna, che lui giurava di essere innocente pure sulla testa della nonna, ma la nonna nel frattempo era già morta. Al palazzo del comune dò un sei e mezzo pieno. Le cantine del duca mi sono piaciute molto, che erano belle spaziose e il duca si doveva prendere delle belle cotture, con quella prosopopea di bottiglie di vino invecchiato che nascondeva là sotto. Alla guida giovenca gli ho chiesto se avevano calcolato quanti boccioni grandi da cinque litri ci potevano stare in quella cantina, e lui siccome non lo sapeva si è fatto facci rosso ed è andato a chiedere alla maestra sua che però non lo sapeva nemmeno lei. All’uscita c’è stato un piccolo patatrac. Ci hanno chiesto di mettere la firma per ricordo e io non volevo perché l’ultima volta che mettevo la firma su un registro era in questura. Alla fine ho scritto un nome qualunque da pinco pallino. Però quando stavo scrivendo questa firma a casaccio, Battiscopa si è avvicinato a questo giovenco che stava lì a cincischiare, «Cazz fraté, ogni fondoschiena che c’ha quella!» gli ha detto a questo tipo. E non va a scoprire che la giovenca in questione era proprio la fidanzatina del tipo che guarda caso è pure di quelli che fa MMA, e l’ha preso male questo commento innocente dell’amico mio. E pure se ci aveva sì e no diciassette o diciotto anni, gli ha tirato un pugno a faccia a Battiscopa e gli ha fatto girare la testa a trecentosessantacinque gradi, tipo la bambina dell’esorcista. Alla fine, pure se di sangue non gliene ha fatto uscire, perché Battiscopa di sangue in corpo ne ha ormai pochi grammi, l’ultimo monumento aperto che abbiamo visitato era il pronto soccorso di San Pietro, quello però l’abbiamo fatto senza guida turistica.

(Marco Lepori)


Marco Lepori è un autore nato nel 1983 e residente a Castelsardo. Ha conseguito la laurea in Teoria e Tecniche dell’Informazione. Ha scritto numerosi articoli per il blog satirico “Castelsardo Insider”, usando diversi pseudonimi. Ha collaborato con Catartica Edizioni nella selezione e revisione di testi, nonché nell’organizzazione del Premio Letterario “Urban Jungle”, di cui è stato membro della giuria nelle edizioni del 2020 e 2021.
Con Catartica Edizioni, Marco ha pubblicato La domenica della cattiva gente (Collana In Quiete, ottobre 2018), Dancing Days (Collana In Quiete, settembre 2019), Castelsardo nel cinema (Fuori Collana, luglio 2021) e Blue Sunday (Collana In Quiete, maggio 2022). Inoltre, ha contribuito al progetto “Cronache della Quarantena”, partecipando alla realizzazione dell’antologia Diario Virale insieme a Claudia Desogus, Fabrizio Raccis e Tea Salis.
Attualmente, Marco gestisce la libreria Mondadori di Castelsardo ed ha anche una pagina Facebook dedicata, “Marco Lepori: Trash Country Stories”, dove i lettori possono immergersi nell’universo tagliente e a tratti grottesco dell’autore. Le sue storie sono ambientate in scenari di periferia e affrontano temi come la violenza, la droga e l’attualità, spesso in un contesto surreale in cui l’ironia si mescola alla crudezza.

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