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«La vita è un cerchio imperfetto». Intervista a Michela Magliona


Dopo il libro dell’esordio, La teoria della mela, Michela Magliona è tornata in libreria a inizio 2025 con il romanzo Il cerchio imperfetto, che riprende le vite di Marco, Elisa, Paolo e Natalia, i giovani protagonisti del primo libro, portandole nel tempo adulto, tra consapevolezze nuove, ferite aperte e legami che non si spezzano.
Nata a Sassari e trapiantata da oltre vent’anni a Torino, Michela è educatrice e mediatrice familiare, collabora con indielibri con la rubrica “Cronache di carta” e ha curato per Catartica Edizioni un progetto di scrittura collettiva con i ragazzi della Scuola Media “Schweitzer”, da cui è nato il libro Con i nostri occhi, presentato lo scorso anno al Salone Internazionale del Libro di Torino.
In questa intervista ci racconta cosa l’ha spinta a tornare ai suoi protagonisti, come sono cambiati e quale visione umana e letteraria li accompagna.

1) Michela, bentornata con Il cerchio imperfetto. Cosa ti ha spinto a riprendere le vite di Marco, Elisa, Paolo e Natalia dopo La teoria della mela?

Grazie innanzitutto per questo spazio.
Avevo il desiderio di vedere i miei protagonisti adulti. Completare il loro percorso di crescita iniziato ne La teoria della mela. Il romanzo si era concluso con ancora molti punti interrogativi sul futuro di questi quattro ragazzini. Volevo dimostrare che qualche volta, sono proprio gli intoppi della vita che aprono la strada al cambiamento, che nella vita non si sa mai e che a volte il destino è bizzarro ma ci sono forze energetiche che si attraggono e fuggono al controllo del tempo, tornando a noi in una sorta di magia. Tutto questo può accadere davvero, è tutto assolutamente possibile. Niente di fantastico o di improbabile. È semplicemente la vita che, parafrasando Venditti, “Compie dei giri immensi e poi ritorna”. Lui parlava dell’amore ma il senso è lo stesso.

2) I tuoi protagonisti sono cresciuti e sono diventati trentenni. Quanto è cambiato il tuo modo di raccontarli rispetto al primo romanzo?

In realtà non è cambiato, li racconto sempre dal loro punto di vista. La telecamera è accesa sulle loro vite, sui loro pensieri, sul modo di affrontare la vita e le emozioni che provano. Ovviamente adesso sono adulti e quindi ci portano in un mondo adulto con un bagaglio più consistente di esperienze, di obiettivi raggiunti, sogni realizzati ma anche insuccessi e disillusioni che hanno lasciato segni nuovi rispetto a quando erano adolescenti. Quindi sì, sono sempre gli stessi ragazzi ma da un certo punto di vista sono anche diversi perché si cambia, ci si evolve nel tempo.

3) Il passato pesa molto sulle scelte e sulle vite dei tuoi personaggi. Secondo te, qual è il ruolo del passato nel nostro percorso personale?

Il passato è imprescindibile. Noi siamo fatti di passato. La nostra vita è il risultato delle scelte e delle esperienze del passato. Per i miei personaggi vale lo stesso principio. Loro sono stati nel bene e nel male molto importanti l’uno per l’altro e quindi le loro vite sono legate da una corda invisibile e qui, torna quell’energia potentissima che è il desiderio che attrae. Loro si sono attratti nella vita adulta perché c’erano delle questioni irrisolte che dovevano affrontare. Anche se non c’era consapevolezza di questo bisogno, noi siamo fatti di energia e qualche volta le cose accadono anche perché noi abbiamo il potere di chiamarle a noi. A me piace quest’idea che poi si concretizza molto nel personaggio di Paolo: tutto accade per una ragione. Le cose arrivano a noi quando siamo pronti ad accoglierle. Ed ecco che arriva un momento, quello in cui s’incontrano dopo molti anni, in cui finalmente, forse, sono pronti ad accoglierle e affrontarle con uno spirito più adulto e consapevole o magari è solo alla fine di tutto che raggiungeranno questa maturità e consapevolezza. L’incontro, è l’occasione che il destino gli offre per compiere un passo avanti nella propria scala evolutiva.

4) Si sente una forte tensione tra il desiderio di cambiamento e l’accettazione di sé stessi. Quanto è difficile, secondo te, raccontare questa dualità senza cadere nei cliché?

Secondo me diventa più facile quando si raccontano cose possibili in cui ognuno può identificarsi. Quando c’è una narrazione che non è scontata e i personaggi si muovono al buio e sbagliano. Hanno paura delle scelte che fanno e delle conseguenze che comportano e il lettore vive con loro le incertezze fino alla risoluzione, qualunque essa sia. Ognuno agisce facendo i conti con il proprio dramma personale che spinge in una direzione piuttosto che nell’altra. Ecco, secondo me il cliché viene meno nel momento in cui si entra dentro il personaggio e si vive insieme a lui la storia, indipendentemente dall’argomento trattato. Anche perché non è tanto la storia ma come viene raccontata a fare la differenza. In realtà anche nella vita reale esistono i cliché, il cliché non esisterebbe se non fosse stato vissuto da qualcuno.

5) Il romanzo può essere letto anche indipendentemente dal primo. Quali elementi hai voluto mantenere per chi ha già conosciuto i personaggi e quali invece hai voluto rendere nuovi per i lettori che arrivano a questo libro senza aver letto La teoria della mela?

Gli elementi che costituiscono l’essenza dei personaggi. I momenti chiave del passato che li ha portati ad essere le persone che sono diventate. Era importante mantenere vivi i ricordi su ciò che li ha segnati, perché è il motivo che li porta a ritrovarsi da adulti. C’è sempre quella calamita che li attrae l’uno verso l’altro. Chi legge il secondo libro, conoscerà o riconoscerà gli stessi personaggi che sono vissuti nel primo. Loro rimangono le stesse persone, con le loro fragilità, la loro bellezza, i loro sogni e quando tornano, lo fanno insieme al loro zainetto di ricordi che devono per forza aprire nel momento in cui si rincontrano.

6) La tua esperienza come educatrice e mediatrice familiare si riflette spesso nelle tue storie. In che modo ti ha influenzata nello sviluppo dei tuoi libri?

In tutto. La mia vita professionale si mescola alla mia percezione del mondo. Io amo osservare le persone, mi piace studiarle, comprendere i perché delle cose, un po
 come fa Paolo nel libro. Dunque mi piace descrivere personaggi che agiscono in modo imperfetto in un mondo imperfetto. E poi credo fermamente nel potenziale umano e dunque nella sua capacità di redenzione e cambiamento: nelle mie storie, amo raccontare le emozioni in ogni forma.

7) Come definiresti il legame tra i tuoi personaggi e il contesto sociale in cui vivono? Pensi che la loro storia abbia qualcosa di universale da raccontare?

È un legame appassionato e come tutte le passioni, racchiude in sé non solo piacere ma anche una porzione di sofferenza. Sono personaggi combattuti tra ciò che vorrebbero e ciò che hanno, devono combattere quotidianamente questa discrepanza e accettarla. Sono umanamente attaccati al contento in cui vivono, ne sono anche in qualche modo vittime, come ognuno di noi.

8) Hai altri progetti in cantiere? Stai già lavorando a nuove storie?

Certo. Io sono un pozzo di idee. Ho sempre nuove storie in testa che aspettano solo di essere scritte. Vorrei solo avere più tempo a disposizione per dedicarmi a loro.
 


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