Il 31 ottobre 1984 muore Eduardo De Filippo, la scena si spegne, ma la voce resta

Controtempo

Il 31 ottobre 1984, a Roma, si chiudeva il sipario su una delle più grandi figure del teatro italiano: Eduardo De Filippo. Attore, regista, drammaturgo, poeta e uomo di pensiero, Eduardo non è stato soltanto un artista napoletano, ma un interprete universale dell’animo umano. A distanza di decenni, il suo teatro continua a parlarci con la forza di una verità che non invecchia.

Nato a Napoli nel 1900, figlio naturale del grande commediografo Eduardo Scarpetta, Eduardo crebbe in un ambiente dove la parola scenica era già vita. Insieme ai fratelli Peppino e Titina, formò un trio che avrebbe rivoluzionato il modo di fare teatro in Italia, portando in scena un realismo disarmante, fatto di dolore, ironia e saggezza popolare.

Con opere come “Natale in casa Cupiello”, “Filumena Marturano”, “Napoli milionaria!”, “Questi fantasmi!”, Eduardo trasformò il palcoscenico in una lente d’ingrandimento sulla condizione umana. Le sue commedie non erano semplici rappresentazioni: erano atti d’amore verso un popolo che sopravviveva tra miseria e speranza, tra il ridicolo e il sublime.

Il suo linguaggio, un napoletano denso e musicale, era capace di raggiungere il cuore anche di chi non lo comprendeva fino in fondo. Perché Eduardo parlava una lingua universale: quella della verità emotiva. In ogni suo personaggio si riflette un frammento di noi — il sogno ingenuo di Luca Cupiello, la dignità ferita di Filumena, la disperata ironia di Gennaro Jovine.

Ma Eduardo non fu solo teatro. Fu anche coscienza civile, capace di denunciare le ipocrisie della società italiana del dopoguerra. Nel 1981 il Presidente Sandro Pertini lo nominò senatore a vita, riconoscendo in lui non solo un artista, ma un uomo che aveva saputo dare voce al popolo, con la stessa profondità con cui un poeta dà voce all’anima.

Quando morì, il teatro italiano perse il suo maestro, ma non la sua lezione. Eduardo aveva scritto in una delle sue ultime opere:

“Io ho fatto il teatro che ho vissuto, e ho vissuto il teatro che ho fatto.”

Oggi, ogni volta che un attore pronuncia una battuta vera, ogni volta che uno spettatore si riconosce in un personaggio e sente il nodo in gola tra una risata e una lacrima, Eduardo è ancora lì, in silenzio, a osservare la scena con i suoi occhi pieni di malinconia e ironia.

Il 31 ottobre è una data che segna una fine. Ma come in ogni grande teatro, il sipario si chiude solo per riaprirsi. E nel buio della sala, la voce di Eduardo continua a risuonare, viva e necessaria come sempre.

(Salvatore Palita)

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