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Un piano di rinascita. 1800 avanti Cristo (Omaggio a Sergio Atzeni)

Sergio Atzeni, Photo Credit: www.vistanet.it

A 25 anni dalla morte IndieLibri rende omaggio al celebre scrittore sardo Sergio Atzeni pubblicando un racconto di Marco Lepori che richiama il celebre Passavamo sulla terra Leggeri
Atzeni (Capoterra, 14 ottobre 1952 - Carloforte, 6 settembre 1995) è stato uno degli scrittori che maggiormente hanno saputo raccontare storie di marginalità, influenzando la scena letteraria più recente. 
Lepori che inizialmente aveva intenzione di inserire questo racconto come ultimo capitolo del suo Dancing Days (Catartica Edizioni, collana In Quiete, 2019), ha poi deciso di condividerlo in rete ricordando così uno fra i maggiori scrittori che hanno saputo raccontare la Sardegna più antica e quella più recente.

Un piano di rinascita. 1800 Avanti Cristo.

Erano davvero in molti quella mattina: dopo tanto insistere, i capi del villaggio avevano dato loro il permesso e praticamente nessuno voleva perdere l’occasione. Andavano a toccare il mare, quello vero, quello che vedevano tutti i giorni dall’alto della montagna, così grande e così lontano, così tanto desiderato. Si misero in marcia quando il sole era appena sbucato fuori e ancora non scaldava, la strada da fare era tanta e ci volevano mettere meno tempo possibile. Una festa, su e giù per sentieri all’inizio familiari poi sempre meno, e dove la strada prendeva un’altra direzione ci avrebbero pensato loro a crearsi lo spazio per passare. E mentre avanzavano cantavano e ballavano, l’aria era piena della musica di un paio di tamburi, e le tre canne piccole da suonare con la bocca scandivano il tempo senza un attimo di sosta. Si fermarono una prima volta per guardarsi i piedi: erano stanchi? Erano sporchi, sì, ma sembravano voler volare. Arrivati in cima a un colle, se ne trovarono un altro proprio di fronte. Era sul mare! Era quello il posto meraviglioso di cui avevano sentito parlare! Restarono senza respiro giusto il tempo di prendere la rincorsa, giù per la prima collina di corsa verso la cima dell’altra. Chi fosse arrivato per primo come premio avrebbe deciso che cosa fare dopo. Verde dappertutto, alberi talmente alti da non vederne la fine. Piante così fitte, che soltanto i più agili riuscivano a farsi strada. E quelli con la pelle più dura, visto che era impossibile non riempirsi di graffi e tagli. I ragazzi avevano appeso al petto un piccolo pugnale, qualcuno teneva ancora l’elmo in testa, qualcun’altro preferiva agganciarlo alla cintura. Le ragazze invece erano un trionfo di fiori, di profumi, di risate. Ai piedi della salita nessuno si fermò a riprendere fiato; su di fretta: ormai la metà era vicina.
Yakuu sapeva che sarebbe arrivato prima di tutti, lo aveva sognato il giorno prima e aveva sognato anche che cosa fare dopo aver toccato il mare. Passava leggero sulla terra come il vento, era stato talmente veloce che la musica che i compagni rimasti dietro continuavano a suonare era ormai diventata soltanto un suono soffuso. Si arrampicò sopra un roccione piatto che sporgeva di poco. Era arrivato in cima per primo! Prese a urlare la sua felicità. Che posto! Era proprio come l’aveva sognato, anzi più bello. La parete che avevano risalito, l’unica attaccata alla terra, era quella più difficile; gli altri lati, circondati dal mare, degradavano dolcemente fino all’acqua. Ne era valsa la pena. La festa poteva continuare!
Fu un trionfo di tuffi, pesci che gli saltavano quasi tra le braccia, sorrisi e baci degli innamorati. Accesero i fuochi e iniziarono ad arrostire le loro prede fresche, quando il loro appetito iniziò a saziarsi, chiesero al vincitore della corsa improvvisata di esprimersi: spettava a lui decidere il da farsi. Yakuu si alzò in piedi, ingoiò l’ultimo boccone di un polpo gigante che avevano catturato poco prima, salì su un masso e prima di parlare si assicurò che tutti gli stessero prestando attenzione. Sapeva bene quello che avrebbe detto; certo, non si era preparato un discorso, ma voleva essere sicuro che tutti lo potessero sentire bene «Io rimango qua!», disse. Bella prova, bel discorso, e quindi? Anche loro sarebbero rimasti lì ancora per un po’, mancava ancora tanto tempo prima che la luna risalisse in cielo e, se anche avessero deciso di restare qualche giorno in più, si sarebbero fatti perdonare riportando al villaggio tanto pesce da riempire la bocca agli anziani prima ancora che la potessero aprire per rimproverarli. C’erano anche delle grotte che sarebbero state perfette per passare la notte. Non era niente di eccezionale questa sua idea.
«No, io qua ci rimango per sempre!» Ecco, adesso sì, che li aveva fatti ridire sul serio. E ai vecchi chi andava a dirglielo? Mica potevano abbandonare il villaggio così, senza un vero motivo! Aveva coraggio, certo, ammesso che stesse facendo sul serio. In fin dei conti, quel posto non era per niente male, il mare lassù non faceva paura, la selvaggina vagava libera in abbondanza, per non parlare poi dei pesci.
Non erano tempi di guerra, ma tutti avevano notato anche il fatto che quella collinetta sul mare era molto facile da difendere in caso qualcuno la volesse attaccare. Quel pazzo facevo davvero sul serio? Parlava di costruire un nuovo villaggio, aperto a chiunque; di spazio ne avevano e il tempo era tutto da-vanti a loro. Qualcuno iniziò a pensare che forse non era così matto, che forse anche i loro vecchi, o qualcuno prima di loro avevano preso una decisione del genere. Che i villaggi così come loro li avevano conosciuti mica si erano costruiti da soli. Certo, c’era molto lavoro da fare, ma se tutti avessero collaborato, se tutti si fossero impegnati alla pari, poi avrebbero potuto godere di quello che si era costruito.
Yakuu iniziò a volare con la fantasia e gli altri lo stavano a sentire, erano giovani e sentivano dentro una forza che non conosceva limiti. Avrebbero dovuto, diceva lui, costruire una torre, ma non bassa e lunga come l’avevano fatta i loro padri, e i padri dei loro padri prima di loro. No, questa torre, la loro torre, sarebbe stata alta e, mano a mano che saliva, sempre più imponente, di due piani, magari anche tre. E, mentre spiegava agli amici quello che aveva visto in sogno, faceva roteare in aria le mani e sembrava che davanti a sé quello che descriveva iniziasse a prendere forma. Fayss che a correre non era stato un fulmine ma era figlio dei costruttori del villaggio e già da tempo seguiva il padre al lavoro, prese a disegnare qualcosa sulla sabbia, e faceva dei calcoli complicati che soltanto lui poteva capire. «Serviranno tante pietre», disse, «tante pietre, le tagliamo bene, più si va in alto più piccole saranno». Allora si poteva fare? Qualcuno ci stava!
Tanur che arrivava sempre secondo, e per questo non aveva simpatia per Yakuu, non poteva credere alle sue orecchie: ma davvero stavano dando retta a quel pazzo? Lui proprio non riusciva a farselo piacere, si dava troppe arie, pensava di essere il capo forse? Aveva vinto la corsa quel giorno, ma era stato soltanto fortunato. Era però, Tanur, cotto di Risel, una fanciulla con occhi profondi e capelli di grano. Bastava un sorriso, un semplice sorriso di lei, per fare tremare le gambe di Tanur. Risel aveva una gemella di nome Rosal. Erano inseparabili, e infatti anche quel giorno erano insieme, ed erano andate a quella festosa scampagnata anche perché Rosal era innamorata di Yakuu, benché lui ancora non lo sapesse. Insomma Risel, che invece conosceva i sentimenti che Tannur provava e in fondo li ricambiava, vide il suo “ragazzo” arrostire di rabbia. Bastò un suo sguardo per farlo sbollire: in fondo, Yakku non era poi così male, o no? «Rimango anche io allora, che tu lo voglia o no», disse Tanur, «e ricordati che hai vinto soltanto perché mi sono distratto un attimo per vedere dov’era finita Risel!» La comitiva esplose in una grossa risata. «Allora lo vedi che sei innamorato!», urlò un voce nella folla. Quello, sentendosi messo alle strette, si chiuse in un silenzio imbarazzato. Si era lasciato andare senza rendersene conto, che imbranato! Ma in fondo che male c’era? Questa storia, la sapevano tutti, tanto valeva uscire allo scoperto. Risel, per niente imbarazzata, non aspettava altro. Andò a sedersi al suo fianco, mentre quello ancora si copriva gli occhi dalla vergogna, e gli schioccò un bacione sulla guancia, così forte che il rumore si sentì sino al vecchio villaggio.
Ora toccava agli altri prendere una decisione. C’era Fensil, la figlia della maga, che era innamorata di Fayss il Costruttore, e i suonatori Saniol e Tuschan che erano inseparabili, Muriel Cacciasogni e Jasyn Rugiada che erano cugine tra di loro e co-noscevano tutte le erbe per curare le ferite; c’erano Rimael l’artigiano e Pynar Mezzaluna che sapeva parlare ai cavalli, e insieme a loro tanti altri che alla fine si unirono a Jakku Ali di Falco e a Tannur l’Innamorato. Si misero subito al lavoro e, continuando a cantare e a ballare, costruirono tante capanne quante ne servivano per passare la notte. Poi si misero al lavoro per innalzare la torre più grande. Ci vollero mesi ma nessuno di loro aveva fretta e, dopo la prima torre, ne aggiunsero altre più piccole collegate a quella centrale. Alla fine venne fuori una costruzione talmente imponente, che avrebbe potuto resistere all’urto di cento eserciti nemici!
Ma non sarebbe servito: in quel tempo lontanissimo, gli abitanti di quella terra vivevano in pace tra loro. Non c’erano potenti né prepotenti, non c’erano guerre né battaglie. Nessuno comandava l’altro, tutto si decideva a maggioranza, tutti erano uguali e liberi di spostarsi dove volevano. Le regole erano poche e venivano rispettate, gli antenati le avevano lasciate in dono e così rimasero per secoli e secoli.
Erano tempi perfetti quelli, o forse è a noi che piace immaginarli così?

Marco Lepori è nato nel 1983 e vive a Castelsardo. Laureato in Teoria e Tecniche dell’Informazione. Appassionato di politica e storia della Sardegna. Ha collaborato alla creazione degli articoli nel blog satirico “Castelsardo Insider”, firmandosi sotto diversi pseudonimi. Ha partecipato al lancio del Premio Letterario Urban Jungle indetto dalla Catartica Edizioni, nella veste di giurato, e collabora con la casa editrice alla correzione dei testi. Per Catartica ha scritto i romanzi La domenica della cattiva gente (Collana In Quiete, ottobre 2018) e Dancing Days (Collana In Quiete, agosto 2019).

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