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Il modello Salgari


di Davide Barella

Centosessanta anni fa, il 21 agosto 1862, nasceva a Verona Emilio Salgari, l’autore più prolifico della storia della Letteratura italiana, tanto attivo nel panorama editoriale quanto sottovalutato e snobbato dalla critica e dal sistema scolastico nazionale.

Eppure in tanti, nati negli anni ’70, i primi a entrare di diritto nella generazione cinetelevisiva, ci siamo immedesimati nei suoi personaggi più celebri, da Sandokan al Corsaro Nero. Abbiamo abbracciato e condiviso le loro imprese nei lontani mari antillani e malesi, riambientandole nelle nostre camerette, abbiamo mangiato le loro merendine quasi – ingenuamente – confidenti che avessero su di noi lo stesso effetto stupefacente delle noccioline su Superpippo.

Prima dell’avvento del cinema e della pubblicità i ragazzi degli anni ’10/’60 affidavano invece la loro fantasia direttamente alla lettura delle pagine scritte e stampate nel corso dei lustri in migliaia di edizioni, spesso rispettose degli originali e sovente irrispettose nell’applicare tagli, mutilazioni arbitrarie, addirittura cambiandone parti stesse della narrazione.

Quello che Salgari ha dato all’umanità letteraria e non solo, tuttavia, non si può solamente ridurre ai personaggi, alle situazioni, alla fantasia. Salgari ha creato un metodo preciso, emulato per lungo tempo, copiato, imitato, preso a esempio, da decine di scrittori.

Salgari ne compose oltre 80, di romanzi. Alcuni li tradusse, e scrisse un numero impressionante di racconti brevi. Per fare ciò, con evidenti ripercussioni sul suo fisico e sulla sua psiche, sacrificò pure la paternità e il suo essere marito, obbligato dai suoi editori a scrivere tre pagine fatte e finite al giorno per vincoli editoriali, feste incluse.

Per questo, a fronte di sventure quali per esempio l’allagamento da inondazione della sua casa in via della Coscia a San Pier d’Arena, che gli fecero perdere alcuni preziosi materiali, “riscrisse” alcuni romanzi stranieri dandone una versione personale, come per esempio accadde con “Le caverne dei diamanti” o le “Avventure di un marinaio in Africa”.

Ma anche nel riproporre trame e canovacci, Emilio seppe dare la propria impronta inimitabile.

Il metodo era sempre lo stesso: prendere spunto da accadimenti reali, approfondirli in modo pedante, maniacale, applicarsi costantemente su materiali bibliografici, sudare sulle pagine per dare vita a manoscritti nei quali scorreva la sua stessa esistenza.

Con questo sistema non solo dispensava avventure, ma regalava perle vere e proprie. Alcuni finali dei suoi libri sono da pelle d’oca, come sono magistrali alcuni suoi incipit; ma al di là del merito o del demerito stilistico, Salgari regalava informazioni, dati, coordinate geostoriche, forniva spiegazioni, illuminava il cammino del lettore. Lo istruiva, lo arricchiva. Per questo i suoi bersagli erano trasversali, dal bambino all’adulto. Ognuno poteva coglierne beneficio.

Personalmente ho scritto “Amici fragili” quando lessi di Scipione Cicala ne “Le pantere di Algeri”, romanzo del quale curai successivamente la versione sarda scoprendo un tesoro incredibile di informazioni che il Capitano Salgari aveva certosinamente raccolto sui giornali d’epoca e riconducenti a fatti e circostanze realmente accaduti.

Ma sono rimasto colpito anche da altre situazioni, come la claustrofobia del passaggio segreto utilizzato nel libro “I corsari delle Bermude” durante l’assedio di Boston, metafora del malessere interiore attuale di Emilio e quindi terribilmente credibile al lettore.

Di fatto nell’opera omnia di Salgari una marea di dati si frange come un’onda sul bagnasciuga della finzione, e ciò che ne esce è una miscela ben eseguita di reale immaginazione.

Chi legge Salgari avrà notizie precise e pertinenti sul colonialismo inglese nelle Indie e sulle esplorazioni polari, vivrà come un cowboy nel selvaggio Ovest e parteciperà in prima persona all’assedio di Famagosta, cercherà diamanti nel deserto e salperà alla volta delle Americhe su una nave carica di schiavi dal fiume Congo.

Un po’ reportage di De Amicis e un po’ biricchino (con la doppia “c”) di Boussenard, vagamente Verne (col quale ha in realtà molto poco da spartire) e molto Alexandre Dumas padre, Rider Haggard q.b., come in cucina: questo è Salgari che, come ricorda ogni giorno da anni a questa parte l’amico Vittorio Sartinon ha inventato assolutamente nulla, affidando la propria sensibilità e la sua passione a notizie sempre vere e conclamate. Ed è sempre assolutamente vero e maledettamente attuale.


Davide Barella è nato a Sanremo nel 1972. Vive e opera nel Ponente ligure, dove, dopo vent’anni di progetti didattici sociali a carattere drammaturgico (scuole, carceri, comunità educative minorili, centri per ragazzi diversamente abili, biblioteche, centri di accoglienza per migranti, comunità psichiatriche) insegna Italiano e Storia alle Scuole Superiori.
Laureato in Lettere, è autore di due fortunati saggi dedicati a Emilio Salgari e alla sua saga dei Ventimiglia, di un trattato su Fabrizio De André ed Emilio Salgari ed è stato curatore editoriale della prima Antologia dedicata ai Corsari Liguri delle Antille.
Per Catartica ha pubblicato due racconti nelle antologie “Caos ed equilibrio” e “Apocalittica” e l’edizione critica del volume di letteratura classica “Le pantere di Algeri - Sas panteras de Algeri” di Emilio Salgari.


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