Il mondo dei “vampiri urbani” raccontato da Paolo Lubinu
Ciao a tutti e grazie innanzitutto per lo spazio. Non ero proprio a caccia di ispirazione quando ho cominciato a scrivere Vampiri Urbani, ma avevo tanta voglia di sperimentare e di raccontare – certamente un vissuto reale, ma con fatti immaginari – senza rispettare scalette più o meno rigide che il romanzo o la sceneggiatura a un certo punto della narrazione impongono. Adoro la narrativa breve anche se sono consapevole che in Italia sia tendenzialmente ripudiata dalla filiera, e ti dirò: almeno quattro racconti della raccolta erano soggetti buoni per altrettanti romanzi e gli altri, seppure brevi, ritengo abbiano ognuno un mondo che non finisce con la storia in questione. Non scherzo quando dico che questo libro è un biglietto per New Orleans, cioè per un altro mondo – i mondi dei vampiri urbani appunto. Quanto alle esperienze personali, certo che è così: ma tieni presente che il racconto stesso, nel suo svolgimento al momento della creazione, è un’esperienza personale, diventa un fatto. Uno su tutti ti dico di “Pierrot”, racconto nato da una lettera (che per me era un esperimento di narrativa) mandata ai miei betareader minacciandoli che avrei fatto qualcosa di brutto se non fossero intervenuti al più presto per aiutarmi, e infatti mi hanno aiutato e sono entrati a far parte di questo racconto, dove si parla appunto di una lettera che però non viene citata in nessuna delle sue parti! Difficile a questo punto distinguere il fatto reale dal racconto, no?
2. Il quartiere di New Orleans è il cuore pulsante
delle tue narrazioni. L’espediente narrativo che ti porta a mettere in risalto
le contraddizioni delle periferie urbane e la variegata umanità che le abitano.
Ci puoi descrivere i “vampiri urbani” che appaiono nelle tue narrazioni?
Come dicevo, New Orleans è un mondo. Un quartiere di
confine, o di rottura, che corrisponde al confine o alla rottura dell’animo, ma
anche del senso di realtà che a pensarci bene ci opprime tutti, anche e
soprattutto nei quartieri normali: la realtà come fatto assoluto per
esistere la devi confezionare dentro un’ideologia, una visione di mondo
condivisa o imposta. Certamente c’è un rifiuto radicale di questa visione da
parte dei vampiri urbani. Si tratta di un rifiuto naturale, congenito, di
quelli che – per dirla alla Bukowski – non sono stati fottuti da
piccoli. Beati loro, si direbbe. Disagiati sì, ma geniali. Te ne dico almeno
una: ci sono certe prostitute geniali a New Orleans che ti cambiano i
connotati, in tutti i sensi. E non sai più chi sei. E quello è il momento più
felice della tua vita.
3. Nel tuo libro, gli esseri umani mostrano il loro
lato più genuino. Come hai deciso di rappresentare queste persone e quali
messaggi vorresti trasmettere ai tuoi lettori?
Ti ringrazio moltissimo per il genuino. Missione
compiuta dunque. Quanto ai messaggi che voglio dare ai lettori si tratta
perlopiù di messaggi subliminali, sono un vampiro urbano pure io di tanto in
tanto, e mi piace l’idea di condizionare i lettori in modo tale che al momento
delle elezioni si ricordino di me. Allora sì che li rappresenterei per bene
come sindaco di New Orleans, a quel punto sarebbe davvero uno scherzo
rovesciare l’ordine logico deduttivo e imporre i nostri sogni agli altri
quartieri! Carino come messaggio, no? Ma, parlando seriamente, è chiaro che ho
delle cose precise da dire che mi spingono a scrivere, sono assediato da
tentazioni filosofiche molto definite, fortuna che succede sempre qualcosa
nella storia o al personaggio in questione che tradisce l’idea originale per andare
dove la storia e il personaggio devono andare. Dico fortuna, ma forse la
combinazione giusta è pazienza e onestà: lo scrittore può – forse deve –
innanzitutto ascoltare. Ecco, per quello che mi riguarda finisce sempre così,
io ascolto, poi riferisco, ma grazie a Dio non ti so dare la sintesi logica del
messaggio che in fin dei conti mi è pervenuto.
4. Hai trovato il libro utile per descrivere alcuni
aspetti della vita o della società contemporanea? Se sì, quale?
Credo che per negazione il libro descriva molti
aspetti profondi, inconsci e paraculi della società contemporanea. Già il
principio che per essere vampiri urbani, oltre che abitare ed essere abitati da
New Orleans, sia necessario un rifiuto costitutivo, naturale – a volte anche
brutale – dei quartieri normali, la dice lunga. Ma prima di lasciarmi sedurre
dalle fatidiche tentazioni filosofiche di cui sopra preferisco andare subito su
un esempio concreto. C’è un racconto a cui sono estremamente legato che è “Questa
cosa che ho dentro”, dove il protagonista – guarda un po’ la coincidenza:
uno scrittore frustrato vicino al delirio – sviluppa un’avversione profonda nei
confronti dell’umanità a causa di un tizio che emana un odore nauseabondo, con
cui però è costretto a condividere la sala scrittura. Il fatto è che l’umanità
con cui ha a che fare ogni giorno, essendo un solitario di New Orleans, si
riduce a poche persone tra cui un ambulante senegalese e una bella prostituta
dell’est (quanti stereotipi dirai!) che finisce per odiare, ma amare segretamente.
Vado al dunque, nel momento di massimo conflitto del racconto, quando il
protagonista si sfoga con l’ambulante senegalese con una terminologia che
davvero l’editore non si sa come abbia potuto pubblicare questo libro, arriva
l’illuminazione. Beh, almeno per me. Da questo racconto ho capito un meccanismo
molto importante sul razzismo, che è questo: la base del razzismo non è la
paura del diverso, ma la paura dell’uguale! Il protagonista del racconto in
definitiva non accetta di essere in tutto e per tutto (quanto ad aspettative,
valori, e posizione sociale) uguale all’ambulante senegalese. Per questo lo
odia, perché in definitiva odia se stesso. Niente male, no?
5. Qual è stata la risposta del pubblico al libro? È
stato ben accolto o ha ricevuto recensioni negative?
Posso affermare che l’indice di gradimento del libro è
molto alto: in tanti mi scrivono o mi fanno sapere in qualche modo di averlo letto
due volte di fila, cosa che prendo come un grande complimento. Anche a me
capita di rileggere un libro subito dopo averlo finito, non tanto spesso come
vorrei, ma so qual è l’esigenza di base, la sete, l’urgenza che ti spinge a
farlo. È davvero gratificante sapere che a tanti capita con Vampiri
Urbani. Anche le recensioni della critica specializzata sono molto
positive, mai mediocri, casomai distruttive o ostili. Devo essere sincero,
prima della pubblicazione avevo il timore che il libro venisse accolto con
ostilità perché diversi editor e agenti di spessore lo avevano bollato come
disturbante, benché scritto con una certa grazia (e aggiungo io, beatitudine).
Invece il pubblico, a parte casi di bigottismo statisticamente irrilevanti, si
è rivelato accogliente oltre ogni aspettativa. Attendevo con ansia una bella
recensione sinceramente negativa, scandalizzata, inorridita e – giuro di essere
sincero – suo malgrado accattivante e sensuale. Ed è arrivata. Di recente. Che
ti devo dire? Ce la siamo goduta fino all’ultima parola. È stato divertente,
paradossale. È così che funziona a New Orleans.
6. Cosa ha colpito di più i lettori di questo libro? C’è stato un personaggio, una storia o una tematica in particolare che ha suscitato più interesse?
I lettori di Vampiri Urbani non sono facili da inquadrare in un sondaggio, hanno troppa personalità! Io però con la mia cricca di fidati malfattori di New Orleans mi sono fatto la mia idea: ci sono i lettori più weird, pieni di tentazioni filosofiche, che in genere vanno matti per racconti come “Una mosca nel bicchiere” e quindi per l’idea – effettivamente ricorrente nel libro – di porre l’assurdo come base fondante del reale. Questi lettori adorano anche racconti come “La mayasa di New Orleans”, “Avanti il prossimo”, “Il mio amico vichingo”, “Eva” e “Lo sputapalline”, sono degli incorreggibili sognatori! Poi ci sono i romantici, quelli che prediligono “Pierrot”, “La casa dei gatti”, “La più bella” e “Elvis”, questi matti credono nell’amore incondizionato e nella ribellione totale al destino sociale che ci viene appiccicato dalla nascita. Infine ci sono i lettori più cattivelli che prediligono racconti come “Questa cosa che ho dentro”, “Porcello”, “La teoria di Signorina” e “Cazzetto”, dove per quanto possibile ho dato sfogo agli istinti più poetici e antisociali dei cari abitanti di New Orleans. Penso che siano questi i quattro gironi tematici in cui tendono a raggrupparsi quelle anime belle di lettori di Vampiri Urbani; il mio preferito comunque è “Cazzetto”. Strano, vero?
7. Cosa ti piace di più della scrittura e cosa ti spinge a continuare a scrivere?
Due cose perlopiù. Una è un segreto. L’altra, perdonami, credo di mantenere il segreto anche sull’altra. Ma se vuoi un indizio, buona parte della risposta la trovi nell’ultimo racconto della raccolta, “Cazzetto” che come ti dicevo è il mio figliolo prediletto.
8. Nel corso degli anni ti sei accostato al mondo dell’editoria, del cinema e del teatro. Quali sono le sfide che incontri in questi ruoli e come si sta evolvendo il tuo percorso professionale ed artistico?
Fa tutto parte di questa cosa dello scrivere. Ho cominciato con la poesia a sette anni, giuro: fuori dalla scuola, dai compiti e da ogni dovere di sorta, ho scritto la mia prima poesia per conquistare una ragazza, beh, una bambina di cui ero follemente innamorato. Da allora non ho smesso di scrivere, a dodici-tredici anni mi sono innamorato della chitarra, che se ci pensi già dalla forma ha un suo erotismo irresistibile, quindi ho cercato di sedurla con storie, canzoni e sogni. Ho militato nell’underground per molti anni con gli Egomass e poi con la rivista Underground X, dove ho cominciato a pubblicare i primi racconti brevi. Da qui sono cominciate varie esperienze come editor e redattore per arrivare al mio primo romanzo che con la cricca di Underground X abbiamo promosso creando cortometraggi e spettacoli teatrali, scrivendo e riscrivendo tutto, fuori dal margine, e dagli argini. Solo da qualche anno ho capito che la scrittura che cercavo era il cinema. Non la sceneggiatura, proprio il cinema: cioè quella casa di matti, quegli elfi che lavorano nel sottobosco per creare pentole magiche, ognuno – ogni reparto – con la sua scrittura, appunto fuori dal margine. La sfida è portare questo sogno ai massimi livelli per scrivere e produrre lungometraggi come se non ci fosse un domani. Semplice, no?
Sì. Ho appena finito di lavorare all’ultima stesura
del mio romanzo inedito di cui non posso svelare il titolo. Sono molto fiero di
questo lavoro. Lo farò leggere ai miei cari betareader in queste
settimane e per almeno uno o due mesi lo lascerò riposare, dopodiché, quando
tutta la vendemmia avrà fatto il suo corso, lo presenterò a un certo editore di
tua conoscenza, sperando di bere del buon vino con lui, per brindare a questo
mirabolante best seller!
Ho un altro lavoro molto importante in uscita:
Falamus, il cortometraggio tratto dal mio primo romanzo Jesù
Cristu ‘Etzu. Qualche anticipazione? Procurati un vestito che stia bene
col rosso. Con il tappeto rosso.
Questo per ringraziare te e i lettori di Indielibri per lo spazio. Di cuore. Ci vediamo a New Orleans. E poi tutti a Hollywood!
(R. Rjo)
Autore: Paolo Lubinu
Editore: CATARTICA EDIZIONI
Data di uscita: 15 ottobre 2021
Genere: narrativa contemporanea
Collana In Quiete
Prezzo: 14.00 €
Nº pagine: 144
Dimensioni: 12x20.5 cm
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