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“Scrivere è necessità di esistere”. Intervista ad Alessandra Porcu, alias Alpraz


Alpraz alias Alessandra Porcu è fumettista e illustratrice. Nel 2021 autoproduce il suo primo fumetto Io non sono io. Del 2023 la sua nuova raccolta di fumetti Vertigini. Vive e lavora a Iglesias. 

Ciao Al
essandra, grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande.

1) Raccontaci brevemente il tuo percorso artistico. Quando inizia a disegnare e quando nasce il desiderio di condividere le tue opere?

A partire dall’infanzia, ricordo vari periodi in cui il disegno mi appassionava molto, ma erano alternati da altri interessi piuttosto forti e momenti di distacco. Ho iniziato a disegnare in modo continuativo intorno ai 25 anni e solo verso i 30 ho capito che disegnare era l’unico impegno in cui riuscissi ad applicarmi in modo immersivo. La voglia di condividere credo di averla avuta da sempre, anche perché la socialità umana è una dimensione che mi mette in difficoltà da quando ho memoria. La necessità di comunicare però è stata sempre presente e l’ho incanalata in qualsiasi mezzo che avessi a disposizione.


2) Da dove traggono ispirazioni i tuoi disegni e quali sono i principali contenuti che cerchi di veicolare attraverso il tuo lavoro artistico? 


Per me il disegno è soprattutto un modo di studiare ed elaborare i miei pensieri. In alcuni casi è anche una forma di meditazione. Le mie questioni sono soprattutto di carattere esistenzialista e politico, elementi che nella mia visione sono piuttosto intrecciati. A partire dall’assurdo dell’esistenza voglio arrivare alla necessità dell’autodeterminazione delle differenti esistenze.


3) Quanto ha influenzato il tuo percorso artistico l’ambiente culturale e sociale nel quale sei nata e vissuta? 


Il mio ambiente culturale di appartenenza è povero sotto diversi punti di vista. Innanzitutto economicamente. Il Sulcis Iglesiente è stato noto alle cronache per essere la provincia più povera d’Italia. Il movimento politico è assente: la disperazione generale è manifestata in rassegnazione stagnante e non riesce ad incanalarsi in una sana rabbia. Mancano reti di socializzazione e di cooperazione. Le rare iniziative culturali fanno fatica ad uscire dalla propria microscopica bolla e la maggior parte degli investimenti sono indirizzate a iniziative turistiche che se da un lato forniscono un temporaneo palliativo economico per certi periodi, dall’altro impoveriscono i significati del territorio, appiattiscono i legami tra i luoghi e di chi si ritrova ad abitare qui. Come è accaduto ormai quasi globalmente, le forme di cultura locale che potevano andare dalla lingua autoctona alle conoscenze popolari, sono state perlopiù sostituite da forme culturali omologanti e colonizzanti. 

Questa situazione di isolamento sicuramente ha influenzato la lentezza con cui sono entrata in contatto con delle realtà variegate e ha accentuato la mia predisposizione alla stasi e al pessimismo. Tutto questo è per me una fonte di riflessione molto importante che torna spesso nel mio lavoro.


4) L’arte è una forma di espressione politica?


Che sia in maniera diretta o indiretta, credo che la maggior parte delle attività umane esprimano qualcosa di politico. L’arte ha sicuramente un’eccezione politica molto forte che può manifestarsi in vari modi. Porta con sé discorsi sulla mercificazione – sia che la si abbracci che se la rifugga –, può prestarsi bene alla propaganda e ai messaggi molto forti. Proprio perché l’arte è uno spazio contraddittorio che è sia molto strutturato che affamato di risignificazione, ha molto in comune con lo spazio politico.



5) In una delle tue illustrazioni, abbiamo notato una frase molto suggestiva: “Scrivere è necessità di esistere”. Puoi spiegare il significato di questa frase e come cerchi di utilizzare la scrittura nelle tue opere per veicolare dei messaggi o stimolare delle riflessioni o delle emozioni in chi legge e osserva le tue opere?


Quella frase nasce dalla lettura di  alcune riflessioni di Donna Haraway e di bell hooks riguardo la scrittura come strumento di riappropriazione e di autodeterminazione. Per me la scrittura è lasciare traccia della propria esistenza e rimanere in ascolto delle altre, ma anche trovare il senso nell’assurdo nel solo fatto di esistere e manifestarlo. Quindi con scrittura non intendo solamente il suo senso letterale, ma qualsiasi tecnica che lasci dei segni.


6) Tra i tuoi interessi vi è anche quello per i contenuti video. Come si combinano assieme illustrazioni, scritte e video?  


Cinema e video sono degli interessi che mi porto dietro dalle scuole superiori. Inizialmente il mio piano era quello di percorrere quella strada, ma facendo esperienze nel settore ho capito che non faceva per me. Più avanti ho scoperto il mondo dell’animazione che affronto in maniera molto sperimentale ed anarchica. L’animazione è uno strumento che mi fa unire ciò che amo di più dell’illustrazione e dell’immagine in movimento.


7) Attualmente collabori con la rivista Quasi, per la quale realizzi periodicamente la striscia Vertigini, puoi parlarci di questo progetto e dei suoi sviluppi?


Vertigini nasce da un ennesimo blocco creativo. Avevo bisogno di un metodo per buttare giù tutto ciò che mi passava per la testa senza avere una struttura precisa: ho avuto conferma ancora una volta che le regole mi impediscono di fluire. Ci butto dentro di tutto: dalle mie idee politiche ai miei moti interiori, mi piace giocare con la deformazione dei personaggi e lo spazio. È stata di Paolo Interdonato l’idea di chiamare questa serie Vertigini, per via del senso destabilizzante che dà una roba del genere. La serie va avanti da quasi due anni e ho di recente raccolto le varie tavole in una zine. Spero di mandarla avanti ancora a lungo: lo trovo il mio spazio sicuro.


8) L’ultima delle tue graphic novel autoprodotta è “Io non sono io”. Ci puoi parlare del concetto, o dei concetti, che vi sono inclusi in questo lavoro?


Io non sono io è la mia primissima prova di racconto lungo a fumetti. Non sapevo bene cosa stavo facendo e mi è servito moltissimo per imparare alcune questioni tecniche (rivendendolo percepisco sempre nuovi errori), ma anche per capire cosa mi facesse sentire più a mio agio di questo mezzo. L’idea di base era quella di raccontare una situazione di indecisione e di stasi rispetto al senso della propria vita: il modello sociale in cui viviamo è teso a  inserire l’individuo in un modello predeterminato. È un sistema che può essere molto opprimente e causa di infelicità sia per chi riesce ad incastrarsi nel puzzle sia per chi non trova spaio. Nel fumetto questo disagio non trova mai soluzione e continua a riproporsi come un loop. 


9) Hai qualche progetto futuro di cui vuoi parlarci?


I progetti sono davvero tanti e vado avanti in modo lento e disordinato. I lavori a cui sto dando priorità sono una serie di animazioni per Mamut Film da inserire in un documentario sulla musica, un fumetto sceneggiato da Francesco Pelosi che è una versione piuttosto cruda di Cappuccetto Rosso e una graphic novel scritta da me che riguarda dei personaggi della mia infanzia. Non ho idea di quando tutti questi progetti vedranno la luce, diamo tempo al tempo.


(Giovanni Fara)

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