Editoria indipendente e logiche di mercato: un sistema da ripensare
La polemica che ha travolto Più Libri Più Liberi – una delle fiere editoriali più blasonate d’Italia – merita un’analisi approfondita. Al centro della discussione, l’invito a Leonardo Caffo, un filosofo accusato di maltrattamenti all’ex moglie, da parte della direttrice Chiara Valerio. Una scelta che stona profondamente con la dedica di questa edizione a Giulia Cecchettin, simbolo di una lotta contro la violenza di genere che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto “ispirare” l’intero evento. Caffo, di fronte alla crescente pressione, ha ritirato la sua adesione. Anche se questo gesto ha evitato ulteriori danni, resta il fatto che l’invito iniziale sia stato un errore. Solo dopo il divampare della polemica e diverse defezioni, Più Libri Più Liberi ha presentato delle scuse pubbliche: «per aver sbagliato e ferito oltre le nostre intenzioni», promettendo spazi per discussioni sul tema della violenza di genere. Tuttavia, l’inopportunità dell’invito rimane. È difficile accettare che una fiera dedicata a Giulia Cecchettin utilizzi il suo nome in modo strumentale, trasformandolo in un accessorio promozionale per un grande evento mediatico.
E da qui dovrebbe aprirsi una riflessione ben più ampia su cosa realmente
sia la piccola editoria indipendente e in quali ambiti debba più opportunamente
assumere un ruolo da protagonista, mettendo al centro la sua capacità di offrire
al lettore libri che siano davvero “diversi” rispetto a quelli prodotti su
larga scala dalla grande industria del libro, quella che ogni anno favorisce una
produzione capace di sfiorare i 90mila titoli all’anno. Una logica perversa che punta a far emergere i titoli su cui intendono puntare i colossi editoriali,
quelli più noti al grande pubblico come “bestseller”.
Ma cosa si intende per piccola e media editoria? Questa definizione, usata in modo retorico, riduce tutto a una soglia di fatturato: per partecipare a Più Libri Più Liberi, basta infatti non superare i 10 milioni di euro annui, accorpando realtà profondamente diverse fra loro. La fiera, con i suoi settecento eventi concentrati in appena cinque giorni, non fa che riflettere la stessa logica mercantile che porta come conseguenza l’iperproduzione di libri. La mega concentrazione di eventi e la presenza massiccia di personaggi famosi marginalizzano i piccoli editori, ai quali invece si dovrebbe riservare maggiore visibilità. Questo meccanismo risponde alle stesse logiche di mercato che non guardano né ai contenuti né alla qualità. E poco conta l’appartenenza o meno a un gruppo editoriale, se poi tutti si devono adeguare alle medesime dinamiche che caratterizzano la grande industria del libro.
L’editoria indipendente dovrebbe puntare a pubblicare meno, ma meglio,
offrendo libri diversi, ma anche strumenti critici per interpretare la realtà.
Eppure, il mercato del libro attuale schiaccia e risucchia le realtà minori,
spingendole a inseguire ritmi di produzione insostenibili e marginalizzandole
anche in eventi che, almeno in teoria, dovrebbero valorizzarle. E se non ti
adegui, non entri nemmeno nei canali distributivi.
Siamo un po’ tutti vittime di un meccanismo perverso che ci utilizza senza
mettere in discussione la posizione dominante dei colossi dell’editoria, che
controllano i canali di distribuzione. E tutti cerchiamo di conquistare una
fetta di visibilità. Ma davvero eventi come Più Libri Più Liberi rappresentano
la piccola editoria indipendente? Anche alla luce della polemica su Caffo, si
direbbe che ci sia molto di cui discutere sulla programmazione di tali eventi.
Tutto questo dovrebbe aprire una riflessione più ampia sulla necessità di
ridare valore alla scelta editoriale e al rispetto dei temi che si vogliono
promuovere. Portando alla costruzione di spazi in cui mostrare realmente le
differenze tra piccola e grande editoria, e offrire una reale alternativa alle
logiche dominanti. Non equiparare il tutto con una fiera che ormai ricalca in
toto le caratteristiche del grande avvenimento che richiama un pubblico
interessato solo ai grandi nomi.
Una discussione che dovrebbe essere animata soprattutto all’interno delle associazioni di rappresentanza, sia a livello locale, dove c’è una grande necessità di aprire un dibattito finalizzato a una promozione più significativa delle voci espressione del territorio e a una pianificazione più attenta delle dinamiche di promozione del libro, sia su più larga scala, dove si manifestano anche i grandi interessi e dove principalmente si gioca la partita che dovrebbe tutelare la bibliodiversità. Questo significa evidenziare i meccanismi che alimentano la sovrapproduzione di titoli destinati a rimanere invisibili, meccanismi che spingono verso una quantità sempre maggiore di pubblicazioni, contro i quali si infrangono i sogni di migliaia di autori e autrici.
Se davvero vogliamo animare il dibattito attraverso una diversità culturale,
dobbiamo osare immaginare un diverso sistema. La vera indipendenza editoriale nasce
quando smettiamo di confonderla con il mercato.
(Giovanni Fara)
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