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Amore, mostri e altre nefandezze; intervista a Paolo Lubinu


Qualche giorno fa, sul nostro sito, è uscita la recensione a firma Antigone dell’ultimo lavoro di Paolo Lubinu, La combinazione vincente, edito a marzo di quest’anno da Catartica Edizioni nella Collana In Quiete (link). Abbiamo voluto incontrare Paolo per scambiare due chiacchiere sulla singolare vicenda che caratterizza questo libro e i suoi personaggi.

1) Il romanzo viene presentato come un’opera postuma: l’autore è tecnicamente scomparso e la voce narrante è quella del curatore. Da dove nasce questa singolare scelta narrativa?

Avevo la necessità di scomparire per scrivere questa storia, in tutti i sensi. La primissima stesura del romanzo risale al 2017, in quel periodo mi trascinavo ancora una certa ubriacatura, nel bene e nel male, per l’avventura editoriale con Jesù Cristu ‘Etzu, il mio primo romanzo editato, prodotto e incendiato con le anime belle di Underground X. Sul piano stilistico mi ero guadagnato una certa consapevolezza per quello che in tanti consideravano un mio punto forte, e cioè la capacità di far vivere personaggi autentici caratterizzati da personalità ben riconoscibili anche attraverso il loro linguaggio. Avevo già la tendenza, diciamo l’istinto, di restare lontano dalla cosiddetta vanità della parola scritta e da varie forme di barocchismo e autoreferenzialità dello scrittore, direi che è proprio un fatto di appartenenza, anche culturale: sono più attaccato al pensiero che alla forma assunta dalle parole. Insomma scrivo per dire qualcosa a cui tengo, non è scontato, e cerco di farlo nel modo più funzionale possibile. Moltissimi, bisogna ammetterlo, scrivono invece per nascondere qualcosa, principalmente il fatto che hanno ben poco da dire. Partendo da questa consapevolezza (e da una situazione personale complessa, conflittuale, difficile) decisi di scrivere questa storia tirandomi completamente fuori da essa, in quanto scrittore, e di lasciare la parola ai personaggi, e di lasciargli molto di me, della mia vita. Il fatto poi che la voce narrante, o meglio la voce portante, di questo racconto di montaggio risulti essere un personaggio preciso, cioè Safarà, credo abbia a che fare con la sua lucidità e saggezza, con la naturale tendenza del lettore a fidarsi di lui.

2) L’incipit richiama esplicitamente i classici del weird e del fantastico. Ti consideri un autore di genere o questa etichetta ti sta stretta?

La premessa del libro è un chiaro omaggio ai classici del genere weird e fantastico, certo: il curatore avvisa il lettore dell’autenticità dei documenti riportati, ma è anche e soprattutto una dichiarazione di metodo e di accordo con il lettore. Così come il curatore ha riordinato i documenti ritrovati, le registriazioni audio, i diari e le lettere che compongono il libro, seguendo un ordine non sempre cronologico ma di senso, altrettanto può fare il lettore (cosa che sconsiglio alla prima lettura) riordinando il materiale secondo la propria predilezione o intuito. Ma resta implicito che l’ordine con cui è stato organizzato il libro è certamente la combinazione vincente. Amo questo tipo di ellissi, e amo il genere weird e molta tradizione del fantastico a partire da giganti come Lovecraft, di cui è facile trovare dei richiami anche in chiave pop, basta pensare al nome-soprannome Safarà, e all’idea di mostro come antieroe in opposizione al rassicurante mondo delle convenzioni incarnato dai normalissimi e ragionevoli “beati stronzoni”. Non mi considero uno scrittore di genere benché certe ibridazioni, richiami e meccanismi siano evidenti: da un punto di vista puramente editoriale il genere inchioda lo scrittore e il lettore a precise aspettative sul piano proprio emotivo, quindi la paura nel caso dell’horror, la tensione nei thriller ecc. Non m’interessa scrivere per trasmettere emozioni precise e codificate e soprattutto non m’interessa leggere per avere questo tipo di ritorno: leggo e scrivo perché cerco qualcosa, di altro, sempre fuori dall’ordinario. Detto questo, sul piano della definizione strettamente tecnica, La combinazione vincente potrebbe essere considerato un romanzo weird, ma sarebbe una forzatura sul piano editoriale e commerciale collocare il libro in uno scaffale preciso. In tanti mi dicono di trovare una certa affinità (diciamo stilistica e di genere) con Murakami, ne prendo atto, ma non posso dire di essere d’accordo perché è un autore che devo ancora approfondire.

3) Il patto tra Bruno e Clelia – raccontarsi le peggiori nefandezze che hanno compiuto nella loro vita per salvarsi – è potente. È possibile, nella tua visione, salvarsi dal sentimento? O amare è sempre un rischio terminale?

Nel libro viene completamente rovesciato il presupposto universalmente condiviso per cui l’amore corrisposto sia fonte di gioia e felicità. Qui amare non è possibile, non siamo fatti per amare davvero, per essere soci del destino di qualcuno, siamo perlopiù dei beati stronzoni che sognano sogni prestabiliti, che amano come si ama qualcosa che poi si consuma, come la merce che il mondo ci sottopone dalla nascita, non abbiamo altro che merce davanti, come il sesso nervoso (le seghe tristi, meglio definite da un personaggio emblematico del romanzo), siamo come alberi trapiantati in un supermercato, dice lo stesso personaggio. E quando succede di amare sul serio, per qualche errore del destino o per qualche aberrazione congenita, ecco che si assiste a qualcosa di mostruoso. Diventiamo quello che siamo davvero, mostri. Beati mostri. Insomma in questa storia bisogna essere dei mostri per amare, e la domanda implicita è: dobbiamo liberarci di questo per salvarci? Oppure è proprio la prova di essere mostri – e quindi la prova reale di essere capaci di amare – che può salvarci? Ma tornando alla tua di domanda, io mi trovo completamente d’accordo con Safarà quando dice che l’amore è un atto di resistenza, ci metto dentro anche l’amicizia e ci metto dentro un sogno di condivisione sincera, libera, finalistica (più che terminale); amare è un atto di resistenza rispetto a come ci siamo ridotti: non molto tempo fa si parlava entusiaticamente di individualismo come valore portante della cultura occidentale, ma che fine ha fatto l’individuo oggi? Siamo macinati, spolpati e smembrati nelle parti intime dell’intelletto e del linguaggio. Ma siamo anche scintille – beh non tutti, se non pochissimi – che possono incendiare i vecchi sogni del potere, che sarebbero i veri mostri. E ti dico una cosa: qualcosa si sta svegliando. Chiudo, per rendere l’idea, con una citazione di Cronenberg, un grande visionario a mio avviso sottovalutato: “Sono il sogno dell’insetto che voleva diventare uomo, ma ora l’insetto è sveglio!” (La mosca, 1986)

4) C’è un erotismo primitivo, viscerale, che attraversa tutta la narrazione. Il rischio che il romanzo venisse frainteso e messo all’indice da quei lettori non abituati a questo genere di testi o da moralisti e bigotti è valsa la pena affrontarlo?

Sì, è un rischio che bisogna correre sempre. Uno scrittore non può rinunciare alla colonna portante del suo pensiero per mera opportunità commerciale o per pudore. In questo romanzo la sessualità intesa come appartenenza primitiva è un mezzo necessario, oltre che un punto di partenza, per arrivare a un tipo di consapevolezza anche filosofica. C’è però un dato confortante da riportare, e possiamo attingere benissimo dall’esperienza con il precedente Vampiri Urbani, dove certi ingredienti ritenuti osé sono molto più forti o espliciti: il dato è che i lettori sono molto meno bigotti e moralisti di quanto la filiera alta dell’editoria ami pensare.

5) In Italia, è difficile rompere con forme stilistiche e certi contenuti ritenuti “rassicuranti”. Come vedi il panorama editoriale e culturale italiano rispetto alla ricerca di nuove forme narrative?

Se ci fai caso nell’ambiente specifico non si parla quasi mai di lettori, ma del lettore. Cioè hanno creato un archetipo, una proiezione del consumatore (ma meglio dire del compratore) di libri con tanto di personalità, gusti, preferenze politiche e sessuali (lasciami scherzare un po’), sarebbe il caso di aprire una catena di sexy shop con tutti questi dati, no? No. Vendono libri per il lettore. Al lettore non piace questo, si turba per quest’altro, deve immedesimarsi con questo, e addirittura vuole sentire questo dipo di voce omologata, standardizzata, riposante, paracula, e mai e poi mai fastidiosa o disturbante. E poi cosa è successo? È successo che il lettore non c’è più, non lo vedono più, vedono il consumatore-compratore di libri, scrivono per lui e giustamente si preccupano per lui, questi bigotti moralisti. Ma grazie a Dio, i lettori veri non sono così; come dicevo prima, nella nostra esperienza con Vampiri Urbani abbiamo riscontrato un certo scandalo solo nei lidi più impacchettati della filiera, ma tra i lettori mai, o quasi. Insomma ci siamo fatti un paio di risate qualche volta. E prima o poi qualcosa di veramente sconcertante bisognerà pur scriverla. Se lo meritano.

6) A circa tre anni e mezzo di distanza, Vampiri Urbani e La combinazione vincente sembrano parlare tra loro. Che tipo di connessione hai voluto mantenere tra le due opere?


Sono libri legatissimi, ognuno è l’esondazione dell’altro: personaggi che trasmigrano, spirito di autodeterminzione, mondi che si incontrano e si contaminano, valori identici ma presentati fuori dagli angoli, sempre per citare una mosca audace che stavolta non è nel film di Cronenberg ma in Vampiri Urbani con il racconto “Una mosca nel bicchere”. Ci sarebbe da scrivere almeno un altro libro sulla connessione fra queste due opere, ma per ovvie questioni di spazio forse è meglio concentrarmi su ciò che li contraddistingue dal mio punto di vista e li confeziona irrimediabilmente come libri diversi. Vampiri Urbani è una raccolta di racconti unitaria, dove New Orleans, il quartiere di confine con i valori e le convenzioni ripudiate dai personaggi che lo popolano, è di fatto una zona dell’animo: durante le serate di presentazione dicevo spesso che il libro è un biglietto per New Orleans e che il lettore deve fare attenzione, perché se quella zona non fa già parte di sé, allora è meglio non prendere mai quel biglietto, meglio non mettere mai piede a New Orleans. Lo considero un libro sovversivo sul piano letterario e filosofico: la base di partenza è che il quartiere, in quanto assoluta zona di confine, empirica e valoriale, ha di fatto sovvertito le regole fondanti dei quartieri cosiddetti normali o borghesi, parliamo non tanto e non solo delle regole intese come leggi e costumi, ma anche e soprattutto di leggi esistenziali e naturali che vacillano. La combinazione vincente invece è un romanzo, ma per costituzione strutturale mantiene una forte coralità e il protagonista, Bruno, era già presente In Vampiri Urbani, proprio come scrittore con il suo romanzo inedito il cui titolo non viene citato, ma ti assicuro che si trattava proprio de La combinazione vincente. Se sul piano letterario il precedente libro-biglietto per New Orleans può essere considerato sovversivo, allora La combinazione vincente è insurrezionale, nel senso che non c’è nessun potere costituito da rovesciare: insomma non c’è una base di partenza in cui arrocarsi, qui l’ordine è spacciato in partenza, non esistono i quartieri normali, siamo tutti come alberi trapiantati in un supermercato, come dicevo prima, e siccome amare non è possibile, resta solo la finzione dei beati stronzoni che anelano una normalità disintegrata a priori. L’unica possibilità di salvezza sta nell’essere mostri. Beati mostri. Mi piace pensare che dove finisce questo libro “postumo” comincia il suo inizio, nel libro precedente.

7) Hai scritto per chi? Per chi ha vent’anni, per chi non ha più illusioni, o per chi ancora crede che l’amore o le scelte che si fanno nel corso della vita – anche se “mostruose” – siano un modo per incendiare il mondo?

I protagonisti sono molto giovani, Bruno ha 26 anni, 27 nell’ultimo suo documento ritrovato, e verrebbe da pensare che quella fascia di età possa apprezzarlo in modo particolare, ma forse questo lo direbbe il tizio della parte alta della filiera che sa tutto del cosiddetto “lettore”. Per adesso in tanti mi dicono che nonostante la giovane età dei protagonisti, i temi affrontati sono profondi e rotti, nel senso che bisogna essersi rotti le ossa per bene, più di una volta, per poterne parlare in quel modo. Lo prendo come un complimento e ci vedo una verità tutto sommato gratificante, per il resto quando scrivo non ho bene in mente il mio “lettore” ma, perdonami se rubo questa frase dal grande Philip Roth: “So bene per chi non scrivo e so bene chi non potrà mai apprezzare ciò che scrivo, e anche questo mi gratifica”. Molto. Riguardo alle scelte e al modo di vedere se stessi e il mondo preferisco metterla così, che poi è una delle domande che naturalmente viene fuori dal libro: a parte la questione se essere un beato mostro o un beato stronzone, tu, caro lettore, quello vero che sta leggendo ora, pensi di essere il risultato delle tue scelte, o pensi di essere il risultato delle scelte di qualcun altro? Non è facile rispondere su due piedi e non è detto che la risposta sia sempre la stessa, per la stessa persona. Per conto mio ci credo sempre nella scintilla che siamo. E nell’incendio che possiamo essere.

8) La combinazione vincente è in tour e in ogni presentazione offri al pubblico qualcosa di nuovo che viene fuori dalle pagine del libro. Cosa dobbiamo aspettarci per le prossime date in programma e per quando è fissato il prossimo appuntamento?

Stiamo avendo dei bei riscontri da parte del pubblico ed effettivamente il tenore, il tono e il contenuto delle presentazioni cambia moltissimo in base al contesto di accoglienza, questo perché il libro con la sua struttura modulare sul piano narrativo e tematico ci dà molteplici possibilità di lettura, non parlo tanto di interpretazione, ma proprio di livelli di discussione interni per esempio a un personaggio o alla specularità fra due o più personaggi e alle direzioni e inclinazioni di ognuno che risultano sempre aderenti o addirittura fondanti delle tematiche e delle contraddizioni affrontate nella storia. Mi imbarazza e mi gratifica vedere con quanta benevolenza e interesse veniamo accolti ogni volta con questo romanzo, e spesso ho la sensazione che ci sia una forte richiesta di autenticità in narrativa, o almeno mi rendo conto con una certa vivacità delle scelte che ho sempre fatto da lettore. Poi per quanto riguarda altri formati, diciamo più performativi, abbiamo da poco presentato “La bionda elettronica” un reading musicale tratto interamente da uno dei primi capitoli del libro dove Daria Esse fa un’interpretazione suggestiva o addirittura ipnotica sulla musica elettronica di Lisandru, è stato un successo. A breve inaugureremo un nuovo formato che includerà questo modulo all’interno di un contesto dove ci sarà molto spazio per la visione che ho dei personaggi nelle mie storie, nel senso proprio di sogno, nel senso di cinema, e quindi del mio amato cortometraggio Falamus. Il prossimo appuntamento con La combinazione vincente sarà a Torre Grande il 30 agosto all’interno di un evento organizzato dalla fervida Shardano e dialogherà con me lo scrittore Roberto Rampone. Venite a trovarci se siete in zona. O prima o poi verremo noi a trovarvi.
 

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