“Bentu Estu”: Nudi e dipinti di bianco per dire no alle pale eoliche
Il 4 agosto 2025, un gruppo di volontari si è posizionato a fianco dell’area archeologica di Su Nuraxi, a Barumini, l’importante sito archeologico patrimonio UNESCO e simbolo della civiltà nuragica. I loro corpi dipinti di bianco hanno richiamato l’immagine delle gigantesche pale eoliche, con le braccia tese a imitarne il movimento. Le striature rosse, simili a ferite e amputazioni, hanno evocato nuovi confini e delimitazioni che trasformeranno il territorio da bene pubblico a proprietà privata, secondo logiche economiche sempre più violente e invasive.
Nella suggestiva performance, i corpi nudi e dipinti diventano al tempo stesso monumenti e vittime: rappresentano strutture che deturpano un territorio ma che i corpi nudi, esposti al vento e a contatto con la terra, vogliono proteggere.
La performance “Bentu Estu”, ideata da Nicola Mette e curata da Pedro M. Rocha, non è un gesto estetico ma una chiara manifestazione di resistenza di un intero popolo che dice “no” alla proliferazione incontrollata delle pale eoliche, che stanno sempre più ridisegnando il paesaggio sardo.
Come sottolinea Rocha, “l’estrazione di energia non è mai neutrale: il corpo lo ricorda, la terra lo ricorda”. La nudità disarmante della performance costringe a vedere ciò che la retorica ha reso invisibile: la violenza di un modello di sviluppo che misura il progresso solo in megawatt, cancellando cultura, identità e memoria storica.
Nicola Mette, con la sua rappresentazione artistica, si oppone alla retorica futurista del primo Novecento che celebrava la macchina e la distruzione del passato come emancipazione. “Bentu Estu” denuncia un progresso acritico e distruttivo, scegliendo come scenario uno dei luoghi più significativi della nostra memoria collettiva.
Il titolo, “Bentu Estu”, in sardo indica il Maestrale, vento potente e impetuoso. Un richiamo mitologico a Eolo, il dio dei venti che nell’Odissea affidò a Ulisse un otre contenente i venti, dono e punizione per l’umanità. Come quel mito, la performance evoca un monito antico: il vento, un tempo alleato dell’uomo e della natura, ora strumento di sfruttamento. Le turbine spezzano l’orizzonte, violano territori sacri e ignorano il valore storico e culturale che rappresentano.
Presentarsi nudi, indifesi, con il corpo dipinto di bianco e segnato di rosso trasforma un sito archeologico in un campo di resistenza politica e poetica. La performance mette in guardia contro nuove forme di colonizzazione paesaggistica mascherate da “progresso” e “sostenibilità”.
A metà strada tra arte perfomativa e protesta, simbolico e letterale, “Bentu Estu” inserisce il corpo fragile nelle rigide architetture del potere e della storia, e Mette denuncia l’assurdità di trattare il territorio come una tela bianca da riempire a piacimento. E pone quindi la domanda: la transizione energetica a quale prezzo? E per chi?
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