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"Se devo avere un nemico che sia la guerra". Due chiacchiere con Anna Borghi


Anna Borghi nasce a Firenze nel ’59, cresce a Crema e vive gli anni ’70, ’80 e ’90 nella cultura cremasca e milanese. Attualmente vive in campagna vicino a Sassari Per motivi politici interrompe gli studi, rammarico che la spingerà a studiare per il resto dei suoi giorni a venire.
Artista poliedrica: poetessa, danzaterapeuta, scrittrice, performer e master reiki. Si autodefinisce “contadina della vita”. Il suo nome compare tra i primi firmatari del “Manifesto contro la guerra del mondo della cultura e dell’arte in Sardegna” promosso da indielibri.

Ciao Anna, grazie per aver accettato questa intervista.

1) La prima cosa che vogliamo chiederti è perché hai scelto di sottoscrivere il manifesto contro la guerra lanciato dalla nostra piattaforma a luglio.

L’orrore per la guerra è sempre stato un sentimento che ha albergato nella mia anima. Il senso di giustizia che non mi ha mai abbandonata dalle mie prime manifestazioni politiche si mantiene vivo e lucido.
Ricordo la diffusione del giornale “Il collettivo” che recava una immagine di Gramsci vicino al titolo, era il 1974. Da allora l’impegno sociale ha permeato la mia vita, talvolta rendendola difficile come l’abbandono della scuola a 18 anni a causa del mio impegno che mi aveva resa bersaglio di ritorsioni. Ma non posso pensarmi diversa dal sostenere la Pace. Sono un essere pacifico.

2) Il movimento pacifista e antimilitarista sembra non essere più in grado di mobilitare le piazze e l’opinione pubblica contro la guerra e paradossalmente all’inizio del conflitto abbia persino assistito a piazze in cui si esortava persino un intervento militare della NATO e dell’Europa contro la Russia. Secondo te il mondo dell’arte e della cultura può ridare vigore a una mobilitazione sociale ostile alla guerra e all’invio di armi nell’ambito del conflitto ucraino? Come?

Credo che si renda necessario una analisi più approfondita. Non nel senso di mettere in discussione l’abominio della guerra, ma rendere di nuovo lecito e indispensabile il confronto. In questi anni, ma è una politica iniziata decenni fa, si è reso evidente come la cultura sia diventata solo merce. La cultura non è informazione ma elaborazione del pensiero.
Ora assistiamo solo a schieramenti non dialettici.
Questo ha impoverito la capacità del pensiero di elaborare alternative.
Le meravigliose sfumature e cambiamenti che la natura ci offre ed insegna vengono solo inquadrati in tematiche risolte in slogan.
L’arte e la cultura avrebbero dovuto insorgere. Senza temere di essere minoranza. L’arte e la cultura resi merce rendono l’artista e il pensatore ricattabile.
Voci libere dal ricatto sociale avrebbero dovuto alzarsi a gran voce. Senza attendere platee plaudenti. Solo per dignità.

3) Che cosa significa essere artisti nella società contemporanea?

Riconosco da poco la definizione artista ma la mia anima artistica mi ha consentito di essere coraggiosa e di crescere. Credo che ciascun artista abbia il proprio modo di riconoscersi. Il mio è sempre stato la curiosità verso il bello o verso ciò che mi emozionava e mi faceva pensare. E la pratica a comunicare con gli altri in forma non gerarchica. Non da un palco in cui qualcuno pensa di somministrare verità. Mi faccio testimone recitante della bellezza ed autenticità. O almeno ci provo.

4) Come è cambiato il rapporto tra politica e cultura rispetto agli anni ’70 e ’90 in cui ti sei artisticamente formata?

Negli anni ’70 era impensabile non esprimere attraverso l’arte la propria opinione, il livello di scontro sociale era così evidente e diffuso che lo rendeva necessario. In quegli anni di cui sono sopravvissuti nella memoria collettiva solo “gli anni di piombo” il fermento collettivo che passava attraverso le lotte sociali nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze, conteneva anche una ricchezza culturale immensa. Non erano solo gli artisti a esprimere le loro opinioni ed il loro impegno ma anche una diffusa riappropriazione dei mezzi espressivi. Esisteva anche una analisi profonda in gruppi dove si mettevano anche in discussione la cultura gerarchica e patriarcale.
Questo proseguì anche negli anni ottanta grazie al movimento antagonista e punk.
L’arte presente nei centri sociali e diffusa nei quartieri e nelle città. A portata economica di tutti.
L’arte internazionalista che supera l’autoreferenzialismo della provincia.

5) Quanto ha influito nella tua formazione artistica la cultura del territorio cremasco e milanese?

La mia crescita artistica la devo soprattutto a Milano.
Dalla frequentazione di Primo Moroni e Nanni Balestrini. La presenza costante di Franca Rame, Dario Fo, Giorgio Gaber. Il teatro di Strehler.
Ma il nido cremasco che mi sorresse fu di poeti, pittori, scultori che mi riconobbero prima che ne avessi io consapevolezza. Per mantenermi lavorai per molti anni in settori creativi e artigianali. Ma persone del livello di Angelo Noce, Elio Chizzoli, Giacomo Ghezzi sostennero sempre il mio anelito artistico. Feci la mia prima lettura poetica pubblica nel 1983 in cui era presente Alda Merini. Su quegli anni cremaschi di sostegno ad Alda, prima che pubblicasse “La Terra Santa”, ho costruito un ricordo come restituzione, “Poesia in forma di vita: Alda” lo si può trovare nel mio canale YouTube. A Milano negli anni ’90, insieme ad altri coraggiosi artisti, fondai una associazione che sosteneva la diffusione di materiali culturali e non autoprodotti fuori dai canali commerciali imperanti. WHIP in via Savona 13.

6) Come sei approdata in Sardegna e quali aspetti della cultura sarda hai reso tuoi nella tua produzione di poetessa e scrittrice?

Prima di approdare in Sardegna venni undici volte, per motivi di viaggio e culturali. Nel 2003 approdai ad Alghero per costruirmi una famiglia, e trovai un mondo culturale vastissimo. Per me è cultura anche il pane, le pietre ed i silenzi.
Ho una anima isolana antica, che non desidera frenesia per sentirsi viva. Sono nella mia vita di poetessa i profumi della macchia mediterranea, l’intensità del colore del cielo. I racconti degli anziani.
Le pietre dei Nuraghe. I canti dei tenores a fine cena.
Il culto del cibo e la ricchezza della natura. Ma anche una vicinanza alle lotte contro lo sfruttamento del suolo e dell’aria, la criminale presenza di chimica industriale, l’occupazione militare ed il servilismo culturale. Sono tornata qui da circa un anno, ora “libera” da impegni familiari mi sento affamata di Sardegna. Non in modo retorico o folcloristico. Come una viaggiatrice silenziosa.

“se devo avere un nemico che sia la guerra
mi separa da te fratello sorella
chiude gli occhi che sorridono
uccide il sogno
se devo avere un nemico siano le armi
il loro potere assurdo
di distanziarmi dal dolore
rendermi sordo alla morte
se devo odiare mi è difficile
se devo odiare questo tempo tornato buio
gli occhi pieni di sangue
la testa non ha pace
non ha ragione né torto
se devo avere il nemico che sia la guerra”



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