Juliovernia Social: Sfide Estreme e Dark Web tra le pagine di “Alice nel Paese Oscuro” (Estratto e Recensione)
Michela Magliona ci guiderà attraverso le intricate vicende di un protagonista intrappolato in una spirale di sfide estreme e dark web.
Estratto
«Potevo permettermi di ritardare a questo importante appuntamento? L’ansia era tale che anche quella notte non riuscii a prendere sonno e quando la sveglia iniziò a suonare avevo gli occhi ancora aperti. Mi alzai dal letto già stanco e anche molto preoccupato.
Nella mia vita non mi ero mai svegliato a quell’ora del mattino e mi sembrò davvero traumatizzante.
Mi preparai indossando una tuta scura e un giubbotto pesante con il cappuccio, uscii dalla porta di casa
cercando di non fare nessun rumore e scesi le scale in punta di piedi.
Speravo di non avere svegliato mia madre, altrimenti sarebbe stato un grande problema. In fondo, era comprensibile perché, se non mi avesse trovato dentro il letto a quell’ora, avrebbe immediatamente chiamato i carabinieri, la polizia e tutti gli ospedali.
Per fortuna non dovetti fare molta strada perché proprio il palazzo di fronte a quello dove abitavo superava i cinque piani richiesti per la prova. Mi fermai davanti al portone d’ingresso e mi resi conto che la parte difficile era appena cominciata.
Dovevo trovare il modo per entrare e non avevo tante soluzioni.
La mia unica possibilità era quella di suonare un campanello a caso, nella speranza che qualcuno mi aprisse.
Ma a quell’ora della notte? Sarebbe stato molto complicato. Così, decisi di improvvisare. Scelsi un nome tra quelli sul citofono, uno qualunque.
Spinsi forte il dito sul tasto del campanello del fortunato vincitore e aspettai con trepidazione.
Trascorse qualche minuto senza che accadesse nulla. A quel punto, suonai nuovamente con maggiore intensità e aspettai ancora finché qualcuno mi rispose e, con una voce mezza addormentata e infastidita, dall’altro capo del citofono cercò di borbottare qualcosa di incomprensibile.
Io risposi: “Le chiedo scusa, sono il figlio del signor Culcasi, il suo vicino di casa. Ho dimenticato le chiavi e mio padre non risponde, potrebbe aprirmi il portone, per favore?” Con un po’ di fortuna il signor Culcasi, cognome sul quale mi cadde l’occhio tra i tanti sul citofono, aveva veramente un figlio; magari talmente rimbambito da dimenticarsi le chiavi e citofonare al vicino nel cuore della notte per farsi aprire.
Rischiai un po’, ma funzionò. Il tizio al citofono bofonchiò qualcosa di molto simile a un brutto insulto, aprì comunque il portone e chiuse bruscamente la nostra conversazione, senza nemmeno un saluto. In fondo, avrei dovuto aspettarmi di più?
Mi ritrovai davanti al portone spalancato, pronto per la missione. Accesi la videocamera del cellulare, entrai in chat e feci partire la diretta.
La challenge era iniziata. Dovevo raggiungere in fretta l’ultimo piano e sperare che non ci fossero porte chiuse che ostacolassero la strada tra me e il tetto.
Decisi di prendere le scale e andare a piedi, avrei dovuto muovermi con attenzione e non fare alcun rumore, l’ascensore mi sembrava un grosso rischio.
Cinque piani a piedi mi servirono per calmare l’adrenalina; infatti, la fatica fisica che aumentava gradino dopo gradino contribuiva a distrarre la mente dalla pazzia che stavo compiendo.
Giunsi all’ultimo piano in un tempo minore rispetto a quanto avessi previsto e mi trovai davanti a una grigia porticina di ferro.
La spinsi con la mano e, con una semplicità inaspettata, mi trovai finalmente sul tetto del palazzo.
Il cielo, buio ma stellato, faceva da cornice a una notte bellissima; molto fredda ma bellissima.
In chat cominciarono a scatenarsi i commenti. Gli spettatori erano impazienti e speranzosi, desiderosi di godersi il grande spettacolo mentre precipitavo nel baratro da quell’altezza. Senza perdere neanche un minuto, il Cappellaio Matto (era questo il giudice della mia challenge) cercò di ristabilire l’ordine e la concentrazione.
Utilizzando un latinismo che esaltava l’austerità delle regole del suo gioco, scrisse: “Alea iacta est. Jabberwock ha raggiunto la vetta e si trova a un passo dalla meta, siamo pronti a superare la prima sfida del suo percorso? Silenzio e attenzione, questo è il momento”.
Mi avvicinai al cornicione e guardai di sotto. Il vuoto mi metteva i brividi e in quel momento scoprii disoffrire di vertigini. Una sensazione terribile che non avevo mai provato.
Cominciai a sudare sebbene la temperatura non fosse proprio estiva. In chat si accorsero subito delle mie perplessità.
Il Cappellaio Matto intervenne cercando di spronarmi.
“In questo momento hai bisogno di ritrovare te stesso e il coraggio che hai dentro. Fallo e basta”.
Quelle parole rimbombavano dentro la mia testa e mi fecero l’effetto di uno schiaffo a freddo.
“Fallo e basta”, mi ripetevo anch’io.
Pensai di non avere alternative. Lo feci e basta. Scavalcai il bordo e mi sedetti sul cornicione. La paura stava per farmi scoppiare il cuore e, senza mai spingere la testa verso il basso, allungai appena il braccio e girai la videocamera per inquadrare le mie gambe che galleggiavano nel vuoto.
Pochi secondi e tornai sul tetto. In un attimo mi ritrovai nuovamente con i piedi sul pavimento e mi sdraiai per terra con gli occhi verso il cielo. Sentivo la necessità di abbracciarmi a qualcosa di stabile, anche se ormai la paura aveva lasciato il posto alla soddisfazione.
Infatti, ero riuscito a portare a termine la mia impresa. Il pellegrinaggio era concluso e nella chat esplosero gli applausi e i complimenti.
Allora, il Cappellaio chiese nuovamente il silenzio e, rivolto a me, scrisse: “Hai affrontato le tue paure e le hai sconfitte. Sei stato capace di superare gli ostacoli mentali che questa società ti impone. Bravo.
Adesso riposati e preparati per la prossima sfida.
Hai il diritto di goderti questa notte di successi”.
Tornai a casa, era quasi l’alba. Mia madre dormiva tranquillamente e non si era accorta di nulla. Io invece, stravolto dagli eventi, crollai sul mio letto.
Ero già in attesa delle nuove istruzioni.
Che cosa succederà ancora? Il seguito di questa challenge, lo troverete nel libro “Alice nel paese oscuro” dove un adolescente cercherà la propria purificazione attraverso un gioco mortale, nell’insidioso mondo del dark web.»
Recensione
Che dire? Questo breve estratto ci racconta la piaga che sta dirompendo tra igiovanissimi e non solo, quello delle darkweb, delle webchallenge, in cui si rischia la vita per delle sfide che non riesco a definire diversamente che assurde. Prove di coraggio da cui si viene risucchiati per una debolezza esistenziale profonda. Dove non c’è altro che una prova di potere messe in atto da cinici narcisisti che fanno leva sul bisogno patologico di approvazione di adolescenti in crisi esistenziale profonda. La cosa che mi ha colpito in questo scritto è la consapevolezza del protagonista che sta per compiere una prova pericolosissima nella quale il rischio è la morte. Nonostante comprenda il pericolo è completamente soggiogato dal CAPPELLAIO MATTO che muove tutti i fili, che quasi sembra “proteggerlo” dalla foga di un pubblico vizioso, degenerato, in un paradossale gioco perverso. Perché quel pubblico è bramoso di sangue, di morte e il CAPELLAIO MATTO lo sa e utilizza la “psicologia” per orchestrare la scena. Gode del potere che ha su gli uni e sull’altro. Lui è colui che ha il POTERE DI VITA E DI MORTE che va ben oltre il potere di porre fine a una vita. Lui fa sì che a dire STOP sia la persona stessa. Dunque l’assurdo suicidio di una persona che non vuole suicidarsi ma che gioca consapevolmente con la propria vita mettendola di fronte ad un rischio estremo. Infatti il giovane protagonista è terrorizzato dalla paura ma il CAPPELLAIO MATTO sa che se si salverà, quella paura molto probabilmente si tramuterà in delirio di onnipotenza e quel delirio sarà la sua droga, perché vorrà riprovare quella sensazione galvanizzante di essere sopravvissuto a morte quasi certa. È un gioco sadico e tossico di potere e sottomissione che s’insinua nelle menti fragili dei più giovani. Ma io (da persona fondamentalmente molto positiva), voglio sperare che questo fenomeno colpisca i giovani particolarmente disorientati. Quelli che hanno riferimenti deboli, che non sono sufficientemente stati messi in guardia sui pericoli del web e che vengono lasciati in balia di sé stessi e del mondo, che dunque il mondo è una grossa nebulosa che fa perdere l’orientamento. Con questo me ne guardo bene dall’esprimere un giudizio, ma voglio anche credere che una sana educazione abbia un profondo peso nella crescita dei giovani anche se qualche volta non li salva da un mondo vigliacco e privo di scrupoli come quello del web, dei falsi miti e dai traguardi facili. Voglio credere che l’esempio e la guida debbano necessariamente fare la propria parte nella scelta delle opportunità e nella distinzione tra bene e male. Bisogna sensibilizzare i giovanissimi nelle scuole, produrre film, romanzi, campagne pubblicitarie che tempestino e contrastino questo morbo diabolico e sostenga le fasce di età più a rischio.
Nella mia vita non mi ero mai svegliato a quell’ora del mattino e mi sembrò davvero traumatizzante.
Mi preparai indossando una tuta scura e un giubbotto pesante con il cappuccio, uscii dalla porta di casa
cercando di non fare nessun rumore e scesi le scale in punta di piedi.
Speravo di non avere svegliato mia madre, altrimenti sarebbe stato un grande problema. In fondo, era comprensibile perché, se non mi avesse trovato dentro il letto a quell’ora, avrebbe immediatamente chiamato i carabinieri, la polizia e tutti gli ospedali.
Per fortuna non dovetti fare molta strada perché proprio il palazzo di fronte a quello dove abitavo superava i cinque piani richiesti per la prova. Mi fermai davanti al portone d’ingresso e mi resi conto che la parte difficile era appena cominciata.
Dovevo trovare il modo per entrare e non avevo tante soluzioni.
La mia unica possibilità era quella di suonare un campanello a caso, nella speranza che qualcuno mi aprisse.
Ma a quell’ora della notte? Sarebbe stato molto complicato. Così, decisi di improvvisare. Scelsi un nome tra quelli sul citofono, uno qualunque.
Spinsi forte il dito sul tasto del campanello del fortunato vincitore e aspettai con trepidazione.
Trascorse qualche minuto senza che accadesse nulla. A quel punto, suonai nuovamente con maggiore intensità e aspettai ancora finché qualcuno mi rispose e, con una voce mezza addormentata e infastidita, dall’altro capo del citofono cercò di borbottare qualcosa di incomprensibile.
Io risposi: “Le chiedo scusa, sono il figlio del signor Culcasi, il suo vicino di casa. Ho dimenticato le chiavi e mio padre non risponde, potrebbe aprirmi il portone, per favore?” Con un po’ di fortuna il signor Culcasi, cognome sul quale mi cadde l’occhio tra i tanti sul citofono, aveva veramente un figlio; magari talmente rimbambito da dimenticarsi le chiavi e citofonare al vicino nel cuore della notte per farsi aprire.
Rischiai un po’, ma funzionò. Il tizio al citofono bofonchiò qualcosa di molto simile a un brutto insulto, aprì comunque il portone e chiuse bruscamente la nostra conversazione, senza nemmeno un saluto. In fondo, avrei dovuto aspettarmi di più?
Mi ritrovai davanti al portone spalancato, pronto per la missione. Accesi la videocamera del cellulare, entrai in chat e feci partire la diretta.
La challenge era iniziata. Dovevo raggiungere in fretta l’ultimo piano e sperare che non ci fossero porte chiuse che ostacolassero la strada tra me e il tetto.
Decisi di prendere le scale e andare a piedi, avrei dovuto muovermi con attenzione e non fare alcun rumore, l’ascensore mi sembrava un grosso rischio.
Cinque piani a piedi mi servirono per calmare l’adrenalina; infatti, la fatica fisica che aumentava gradino dopo gradino contribuiva a distrarre la mente dalla pazzia che stavo compiendo.
Giunsi all’ultimo piano in un tempo minore rispetto a quanto avessi previsto e mi trovai davanti a una grigia porticina di ferro.
La spinsi con la mano e, con una semplicità inaspettata, mi trovai finalmente sul tetto del palazzo.
Il cielo, buio ma stellato, faceva da cornice a una notte bellissima; molto fredda ma bellissima.
In chat cominciarono a scatenarsi i commenti. Gli spettatori erano impazienti e speranzosi, desiderosi di godersi il grande spettacolo mentre precipitavo nel baratro da quell’altezza. Senza perdere neanche un minuto, il Cappellaio Matto (era questo il giudice della mia challenge) cercò di ristabilire l’ordine e la concentrazione.
Utilizzando un latinismo che esaltava l’austerità delle regole del suo gioco, scrisse: “Alea iacta est. Jabberwock ha raggiunto la vetta e si trova a un passo dalla meta, siamo pronti a superare la prima sfida del suo percorso? Silenzio e attenzione, questo è il momento”.
Mi avvicinai al cornicione e guardai di sotto. Il vuoto mi metteva i brividi e in quel momento scoprii disoffrire di vertigini. Una sensazione terribile che non avevo mai provato.
Cominciai a sudare sebbene la temperatura non fosse proprio estiva. In chat si accorsero subito delle mie perplessità.
Il Cappellaio Matto intervenne cercando di spronarmi.
“In questo momento hai bisogno di ritrovare te stesso e il coraggio che hai dentro. Fallo e basta”.
Quelle parole rimbombavano dentro la mia testa e mi fecero l’effetto di uno schiaffo a freddo.
“Fallo e basta”, mi ripetevo anch’io.
Pensai di non avere alternative. Lo feci e basta. Scavalcai il bordo e mi sedetti sul cornicione. La paura stava per farmi scoppiare il cuore e, senza mai spingere la testa verso il basso, allungai appena il braccio e girai la videocamera per inquadrare le mie gambe che galleggiavano nel vuoto.
Pochi secondi e tornai sul tetto. In un attimo mi ritrovai nuovamente con i piedi sul pavimento e mi sdraiai per terra con gli occhi verso il cielo. Sentivo la necessità di abbracciarmi a qualcosa di stabile, anche se ormai la paura aveva lasciato il posto alla soddisfazione.
Infatti, ero riuscito a portare a termine la mia impresa. Il pellegrinaggio era concluso e nella chat esplosero gli applausi e i complimenti.
Allora, il Cappellaio chiese nuovamente il silenzio e, rivolto a me, scrisse: “Hai affrontato le tue paure e le hai sconfitte. Sei stato capace di superare gli ostacoli mentali che questa società ti impone. Bravo.
Adesso riposati e preparati per la prossima sfida.
Hai il diritto di goderti questa notte di successi”.
Tornai a casa, era quasi l’alba. Mia madre dormiva tranquillamente e non si era accorta di nulla. Io invece, stravolto dagli eventi, crollai sul mio letto.
Ero già in attesa delle nuove istruzioni.
Che cosa succederà ancora? Il seguito di questa challenge, lo troverete nel libro “Alice nel paese oscuro” dove un adolescente cercherà la propria purificazione attraverso un gioco mortale, nell’insidioso mondo del dark web.»
Recensione
Che dire? Questo breve estratto ci racconta la piaga che sta dirompendo tra igiovanissimi e non solo, quello delle darkweb, delle webchallenge, in cui si rischia la vita per delle sfide che non riesco a definire diversamente che assurde. Prove di coraggio da cui si viene risucchiati per una debolezza esistenziale profonda. Dove non c’è altro che una prova di potere messe in atto da cinici narcisisti che fanno leva sul bisogno patologico di approvazione di adolescenti in crisi esistenziale profonda. La cosa che mi ha colpito in questo scritto è la consapevolezza del protagonista che sta per compiere una prova pericolosissima nella quale il rischio è la morte. Nonostante comprenda il pericolo è completamente soggiogato dal CAPPELLAIO MATTO che muove tutti i fili, che quasi sembra “proteggerlo” dalla foga di un pubblico vizioso, degenerato, in un paradossale gioco perverso. Perché quel pubblico è bramoso di sangue, di morte e il CAPELLAIO MATTO lo sa e utilizza la “psicologia” per orchestrare la scena. Gode del potere che ha su gli uni e sull’altro. Lui è colui che ha il POTERE DI VITA E DI MORTE che va ben oltre il potere di porre fine a una vita. Lui fa sì che a dire STOP sia la persona stessa. Dunque l’assurdo suicidio di una persona che non vuole suicidarsi ma che gioca consapevolmente con la propria vita mettendola di fronte ad un rischio estremo. Infatti il giovane protagonista è terrorizzato dalla paura ma il CAPPELLAIO MATTO sa che se si salverà, quella paura molto probabilmente si tramuterà in delirio di onnipotenza e quel delirio sarà la sua droga, perché vorrà riprovare quella sensazione galvanizzante di essere sopravvissuto a morte quasi certa. È un gioco sadico e tossico di potere e sottomissione che s’insinua nelle menti fragili dei più giovani. Ma io (da persona fondamentalmente molto positiva), voglio sperare che questo fenomeno colpisca i giovani particolarmente disorientati. Quelli che hanno riferimenti deboli, che non sono sufficientemente stati messi in guardia sui pericoli del web e che vengono lasciati in balia di sé stessi e del mondo, che dunque il mondo è una grossa nebulosa che fa perdere l’orientamento. Con questo me ne guardo bene dall’esprimere un giudizio, ma voglio anche credere che una sana educazione abbia un profondo peso nella crescita dei giovani anche se qualche volta non li salva da un mondo vigliacco e privo di scrupoli come quello del web, dei falsi miti e dai traguardi facili. Voglio credere che l’esempio e la guida debbano necessariamente fare la propria parte nella scelta delle opportunità e nella distinzione tra bene e male. Bisogna sensibilizzare i giovanissimi nelle scuole, produrre film, romanzi, campagne pubblicitarie che tempestino e contrastino questo morbo diabolico e sostenga le fasce di età più a rischio.
(Michela Magliona)
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