Header Ads

test

Alla Scoperta del Magnifico Santuario Nuragico di Santa Vittoria a Serri

Photo Credit: Pietro Atzori

Ci sono luoghi nei quali “il camminare” non si riduce al solo verbo di movimento. Ci sono luoghi nei quali lo spazio e il tempo non conoscono confini. Ci sono luoghi nei quali gli animi si elevano leggeri e fluttuano in una dimensione attraente e prodigiosa. Ci sono luoghi nei quali si respira aria pura e vigorosa. Ci sono luoghi nei quali ad occhi chiusi, si possono percepire la sapienza, la scaltrezza, le usanze, i culti, le celebrazioni, i mestieri, gli scambi, gli spostamenti, l’allegria, i dibattiti di una magnifica civiltà estremamente evoluta e spaventosamente precisa, che ha viaggiato nel tempo per arrivare fino a noi.

Ci sono luoghi nei quali le radici ti trattengono e ti rendono fiero di appartenere totalmente a quella Terra.

Accade tutto ciò di cui vi ho appena enunciato quando si percorrono i viottoli del “Santuario Nuragico di Santa Vittoria”.

Ci troviamo a Serri, paese di circa 600 anime, 670 mt s.l.m., piccolo centro agropastorale. Situato a un’ora da Cagliari, nel Sarcidano confinante con la Trexenta, Serri ci offre uno scenario strepitoso capace di rigenerare anche gli animi più ostili.

Arriviamo. Parcheggiata l’auto decidiamo di fare due passi a piedi. Vengo attratta dalle risate dei bambini che giocano gioiosi nei cortili tipici delle case a cortes comune, le loro risate riportano la mia mente e il mio cuore ai tempi nei quali soffiavo le loro stesse candeline.

Il paese fu costruito attorno all’area parrocchiale di San Basilio Magno, le abitazioni più antiche sono case rurali con grandi cortili i cui ingressi sono caratterizzati dai portoni di legno incastrati in archi di pietra. Sono fortunata, mentre passeggio per le vie, i miei sensi si inebriano con profumi e sapori antichi. Ancora oggi moltissime donne panificano in casa e servono primi piatti succulenti di “pitzottis” o “fregua sarda”, che loro stesse hanno prodotto qualche giorno fa, conditi con un bel sugo di pomodoro fresco coltivato poco distante, arricchito dal sapore della salsiccia fresca di macellazione locale il tutto, ovviamente, imbiancato da un’abbondante spolverata di formaggio ovino, anch’esso locale. Le donne di questo piccolo borgo amano anche ricamare e creare cestini e sono fiere mentre mi mostrano il loro prezioso lavoro.

Nella zona antica del paese si può visitare anche la chiesetta di Sant’Antonio Abate e i ruderi del santuario dedicato a San Sebastiano martire.

Ad oriente rispetto al paese, osservo il Santuario campestre di Santa Lucia, nel quale, a fine maggio, durante la festa per la Santa, si svolge un’importantissima fiera-mercato del bestiame che richiama gli allevatori da tutta la Sardegna.

Il tempo in questo luogo sembra sospeso, in senso piacevole e buono. La frenesia della vita moderna appare così lontana, ed è bello attribuire ad ogni cadenza del tempo il giusto valore. Saliamo nuovamente in auto e, attraversato il paese, dopo pochi km, giungiamo sull’altopiano basaltico di origine vulcanica denominato Giara di Serri dal quale si può ammirare un panorama meravigliosamente sconfinato che scorre, nitido e senza alcun ostacolo, dalle cime del Gennargentu, alle colline della Marmilla, giungendo nelle giornate più limpide, fino al Golfo di Cagliari.a

L’aria è fresca, un po’ pungente, l’inverno è arrivato senza bussare, la brezza scompiglia i miei capelli e intorpidisce le mie mani, ma non ci faccio caso perché il mio cuore scalpita per l’emozione.

In questo ancestrale luogo i nostri avi decisero di stabilire la propria dimora che, dopo millenni, giunge fino a noi e ci lascia senza fiato per la sua immane bellezza e per la strabiliante perfezione architettonica con la quale fu costruita.

È in questo fenomenale museo a cielo aperto che emerge il Santuario Nuragico di Santa Vittoria.

Varcato il cancello sulla destra, la statua di Santa Vittoria accoglie benevola e silenziosa i visitatori, la cortesia qui, è di casa.

Entriamo al bar, adiacente la biglietteria, la stufa accesa viene sovrastata dal calore emanato dal sorriso di benvenuto con il quale ci riceve Federica.

Sorseggiamo il caffè e scambiamo piacevolmente due chiacchiere con lei e con Damiano. Siamo totalmente immersi nella natura, eppure qui, l’intelligenza dell’uomo moderno, è stata capace di offrire dei servizi indispensabili ai visitatori con delicatezza e senza deturpare il paesaggio.

Luoghi come questo, nei quali la storia dilaga prorompente lasciando pochissimo spazio al vago e al presunto, sono sovente sconsigliati alle famiglie con bambini piccoli.

Non è questo il caso!


Questo luogo oltre che incantevole, è quieto e particolarmente ospitale.

All’ingresso del sito c’è un piccolo parco giochi e l’area pic-nic, immersa nelle roverelle, attorno alla quale si possono osservare diversi animali che vivono liberi, seppur ben custoditi e accuditi.

Federica, giovanissima, ci fa da guida e con lei, per un piccolo tragitto, un micio che si struscia alla ricerca di coccole.

“Questo sito è il più grande e importante della Sardegna per estensione, raggiunge infatti 22 ettari, e per ritrovamenti” Federica esordisce con questa frase e, mentre l’ascolto, estasiata dalla precisione con la quale questa giovane donna parla dei suoi avi, la mia vitalità procede in questo spazio ma in un tempo differente al quale sento di appartenere intimamente.

Mi guardo attorno, l’importanza del luogo si evince in un secondo, per la diversità delle costruzioni presenti, esso fu infatti luogo di culto e di scambio culturale, ideologico e commerciale fra le popolazioni dell’isola e non solo.

Nel 1907 l’archeologo Antonio Taramelli intuisce la magnificenza del sito e dirige i primi scavi dai quali sono emersi i primi importantissimi reperti: modellini stilizzati scolpiti sul calcare, frammenti bronzei di armi votive, navicelle, lanterne, gioielli, asce, brocche e ciotole.

Dinnanzi al “Pozzo sacro” mi manca il respiro e mi sento piccola in modo disarmante.

È la costruzione più imponente, di forma circolare la cui struttura è perfetta!

È composto da un vestibolo o atrio, dalla scala e dalla camera circolare la cui profondità è di circa 3 mt ma stima che il pozzo raggiungesse i 6 mt di altezza poiché aveva una copertura a tholos. La copertura della scala era “rovesciata” mentre il vestibolo pare avesse una copertura a doppio spiovente.

Discendo le scale accarezzando le pareti perfettamente conservate e, in questo luogo di culto, con gli occhi chiusi, sento la musicalità dell’acqua, elemento prezioso per la vita.

Dinnanzi all’ingresso si intravedono le sedute dei sacerdoti, le lastre votive e le canalette per il defluire dell’acqua e i bacili che raccoglievano questo prezioso elemento.

Trovo un punto e mi siedo un momento in contemplazione.

Il silenzio disarmante mi permette di immaginare le sagome che, millenni fa, con un’intelligenza fuori dal comune, progettavano e realizzavano cotanta bellezza. Un fremito mi accarezza.

Mentre percorriamo la “Via Sacra”, la voce sapiente di Federica mi culla così rifletto sull’aspetto religioso e sull’ importanza che l’uomo gli ha attribuito fin dall’inizio dei tempi.
Giunti al “Tempio Ipetrale”, tempio a cielo aperto che probabilmente aveva una copertura a doppia falda costruita con materiale deperibile (legno, frasche), osservo l’altare maggiore nel quale avveniva il sacrificio degli animali e l’altare minore nel quale venivano posizionati gli oggetti votivi.

Ci spostiamo verso il grande “Recinto delle Feste”, varchiamo uno dei due ingressi principali e la vitalità del luogo si concretizza. Sulla sinistra i basamenti degli 11 pilastri che sorreggevano la copertura ad una falda, mi permettono di immaginare il porticato nel quale intravedo i pellegrini riposare e consumare un pasto.
Dalla cucina comunitaria si ha come l’impressione che arrivi il profumo della cottura del pane, mentre dalla capanna del culto si odono leggeri i riti.

Nella capanna con sedile e nella casa focolare ci si prepara festosi all’accoglienza dei pellegrini. Nella quarta capanna, all’interno della quale si intravedono due livelli di seduta, la fonderia è in funzione, la fiamma ardente scoppietta mentre robuste braccia lavorano il bronzo fuso e realizzano oggetti votivi. Nell’ area del mercato, sui 9 lastroni le merci sono esposte e hanno inizio gli scambi commerciali.

Al centro del recinto la spensieratezza dilaga tra canti, balli e attività sportive al punto che riesco a percepire ogni movenza come se i nostri avi fossero qui,ora.
Entro rispettosa nel Tempio in Antis, poiché questa fu la dimora del capo tribù o del sacerdote.

Ci dirigiamo verso l’ampia sala delle assemblee e qui, circa 60 persone coordinate dal capo tribù discutono per prendere decisioni importanti.

Le abitazioni della popolazione residente, sono capanne costruite attorno a una corte centrale, in alcune di esse, le donne sbrigano i loro mestieri.

La nostra visita è terminata ma Federica ci lascia del tempo per scattare qualche foto e per ammirare il tramonto.

Mi siedo nuovamente e metabolizzo le sensazioni provate, cercando di fissare nella mia mente l’immaginazione vissuta.

Questo luogo è possente e magico al tempo stesso, ti fa provare il magone durante il ritorno a casa, poiché è capace di collocarti in una dimensione di assoluta appartenenza.

Cari lettori e care lettrici, spero di aver stuzzicato la vostra curiosità e il vostro desiderio di visitare questo luogo per descrivere la magnificenza del quale, il vocabolario non contiene termini sufficienti che gli rendano omaggio.

Nel darvi appuntamento al prossimo articolo vi saluto affettuosamente.


(Manuela Orrù)

Info & Contatti:
ACROPOLI NURAGICA SOC. COOP.
Area Archeologica
Santa Vittoria, Serri (SU)
Cell. 346 0669068
e-mail: acropolinuragica@tiscali.it
sito web: www.santuarionuragicoserri.it

Nessun commento