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Il viaggio che crea arte: intervista a Davide Mariani e Franco Canu

Foto: a sinistra Davide Marini, a destra Franco Contu

Dopo aver raccontato la seconda Anteprima di Zona ArtiGeniale – Festival della Gentilezza 2025 (Link), torniamo su quel momento per ascoltare la voce dei suoi protagonisti. Davide Mariani e Franco Canu hanno portato a Serrenti Buona notte e buona fortuna, progetto nato in viaggio verso la Biennale di Venezia 2024, in cui il cammino, l’attesa e l’incontro diventano materia d’arte. Li abbiamo incontrati per farci raccontare la loro esperienza, in attesa del Festival in programma a Serrenti dal 22 al 24 agosto.

1) Avete scelto di raccontare il viaggio verso la Biennale più che l’evento in sé. Cosa ha significato per voi “essere in cammino” in questo progetto, e che ruolo ha avuto il senso dell’attesa?

Franco Canu: Per me, il senso dell’attesa si è manifestato in particolare durante il mio soggiorno a Milano, prima tappa del viaggio in treno verso Venezia. In pratica ho preso l’aereo da Alghero verso Milano e poi da Milano ho fatto il viaggio in treno verso Venezia, dove poi mi sono ricongiunto con Davide, che nel mentre era partito da L’Aquila in pullman. Lì l’ho vissuto come un’esperienza a sé stante. In quei giorni ero completamente immerso nella città. Questa sosta milanese è stata fatta di incontri con amici e conoscenti, di pause colazione nei bar, di visite a mostre d’arte contemporanea e di design. Tutte queste esperienze sono diventate parte integrante del viaggio. Ma il momento in cui ho percepito davvero l’attesa è stato quando ho preso il tram verso la Stazione Centrale di Milano. Il senso di questo progetto artistico è proprio l’esperienza stessa del viaggio: una sorta di pellegrinaggio laico, fatto di soste, attese, attraversamenti di soglie e confini, come i bar oppure la stazione centrale.

Davide Mariani: Per me il senso dell’attesa si è manifestato in vari episodi. Ho effettuato il viaggio in pullman, consapevole del fatto che fosse molto lungo, all’incirca avrò fatto 20 ore di viaggio e non è stato diretto; ho fatto scalo a Napoli e infine verso Venezia dove mi sono ricongiunto con Franco. Quando lui è partito col treno dalla Stazione Centrale di Milano io ero già in viaggio da un bel pezzo. Ti posso dire, è stata un’attesa molto stancante  ho fatto pure la nottata in pullman  però l’attesa era riempita da un sentimento di entusiasmo e interesse, essendo per me la prima occasione per andare a visitare la Biennale
. Forse il momento in cui ho avvertito di più il senso dell’attesa è stata la sosta a Napoli per prendere il cambio in direzione Venezia, durata ben due ore. L’unica cosa che ho fatto in tempo a vedere è stata la Stazione Centrale, dove ho gustato un buon caffè, prima di avviarmi verso il pullman. Alla fine, il cammino e l’attesa si racchiudono proprio in queste pause: le soste nei bar e nei terminal, in attesa della partenza.

2) Nel mediometraggio il tuo sguardo si sviluppa attraverso il treno: che cosa restituisce questo mezzo, nel ritmo e nella visione, alla tua ricerca artistica?

Franco Canu: Quel viaggio in treno è stato molto più di un semplice spostamento: è diventato un luogo di trasformazione, un catalizzatore di relazioni. Il tragitto verso Venezia ha creato uno spazio unico per approfondire il rappoeto di amicizia con Enrico, un architetto che ha condiviso con me e Davide 
la visita della mostra alla Biennale. Il viaggio ci ha permesso di scoprirci di più, rivelando sfumature nuove della nostra amicizia. Il viaggio è un mezzo che non solo ci fa scoprire dei luoghi, ma soprattutto le persone. Questa esperienza si lega profondamente alla mia pratica artistica, dove le relazioni sono il filo conduttore. Attraverso il mezzo fotografico e video, ogni opera diventa una tappa di un’autobiografia collettiva, in cui i protagonisti sono gli incontri inaspettati di amici e colleghi dell’Accademia. Ogni persona porta con sé una storia che entra a far parte del mio lavoro. Il progetto nato durante il viaggio su quel treno (e su quel pullman) è solo l’ultimo capitolo di una ricerca più ampia: un’indagine su come le connessioni si formano, si intensificano, e a volte si cristallizzano. Il mio approccio ricorda quello di un antropologo o di un narratore: osservo, registro, assemblo frammenti di vite che incrociano la mia. Cerco di fissare l’effimero degli scambi umani, dare forma a quel qualcosa che nasce quando condividiamo uno spazio e un tempo, anche solo per poche ore.


3) Nel tuo libro d’artista usi cancellature e omissioni per raccontare il viaggio. Perché hai scelto questo metodo? Che cosa aggiunge – o toglie – al senso del racconto?

Franco Canu: 
Ho scelto di utilizzare cancellature e omissioni nel mio libro d’artista per costruire una narrazione frammentata e stratificata, che racconta non solo il viaggio verso la Biennale, ma anche l’esperienza personale di quell’anno, suddivisa in tre capitoli. L’opera, ispirata alla trilogia Trois Couleurs di Krzysztof Kieślowski
Nei primi due capitoli ho scelto di censurare gran parte del testo: un gesto che non nega la narrazione ma la dilata generando una stimolazione narrativa costante. Il fruitore è invitato a cogliere il non detto, a confrontarsi con ciò che è sottratto. La cancellatura diventa così linguaggio. Con un tono a tratti ironico, descrivo minuziosamente il viaggio, ma censuro deliberatamente ciò che decido di sottrarre allo sguardo del lettore, creando un dialogo tra visibile e invisibile, tra ciò che è concesso vedere e ciò che rimane nascosto.
Il terzo capitolo, Trois Couleurs: Rouge – Stranieri Ovunque è dedicato proprio al viaggio e ai giorni vissuti a Venezia. Il rosso, colore emblematico della Biennale, segna il momento in cui la narrazione si apre maggiormente, descrivendo il tragitto dalla Stazione Centrale di Milano a quella di Santa Lucia a Venezia, dove mi sono riunito con Davide per proseguire insieme verso gli spazi dell’Arsenale e dei Giardini.

4) Nel mediometraggio il tuo viaggio si svolge in pullman. In che modo questo punto di vista ha influenzato lo sguardo e il ritmo del tuo racconto visivo?

Davide Mariani: Sono partito alle 17:20 del 21 dicembre, sono arrivato a Napoli intorno alle 20:00 per poi ripartire alle 22:00, e ho raggiunto Venezia la mattina successiva verso le 9:40. In questo frangente ho assistito a una conversazione al telefono con una signora seduta accanto a me durante la prima tratta, da L’Aquila a Napoli. Nei miei appunti ho riportato qualche frammento di quel dialogo: aveva ordinato del sushi per telefono e parlava del film Il ragazzo dai pantaloni rosa. Perché racconto questo? Per sottolineare ciò che accade durante un viaggio così lungo: o sei immerso nel silenzio, interrotto da qualche ora di sonno, o ascolti musica, o ti lasci cullare dal rumore del mezzo di trasporto. Ci sono le soste negli autogrill, dove ti concedi un caffè o una pausa in bagno, e quei momenti di attesa e riflessione mentre aspetti di arrivare alla meta finale. 
Durante il percorso ho fatto incontri inaspettati, come quello con Massimiliano – lo riporto nel libro d’artista – anche lui diretto alla Biennale, che in un pullman strapieno ha scelto di sedersi proprio accanto a me. Abbiamo deciso di visitare la Biennale insieme. Ecco cosa può riservare un viaggio: un’occasione per conoscere persone e creare relazioni, che è alla base del progetto Buona notte e buona fortuna. Si tratta di catturare questi momenti significativi, come ho fatto nella mia pratica artistica, soprattutto quella legata al camminare.

5) Hai lavorato su un atlante ritrovato in un ex cinema e su pagine del tuo diario. Cosa ti ha spinto a mettere insieme questi due elementi? Che tipo di racconto nasce da questa sovrapposizione tra geografia e vissuto personale?

Davide Mariani: L’idea di accostare le pagine di un diario a quelle di un atlante del 1984, rinvenuto nell’ex Cinema Ariston di via Grazia Deledda, nasce dal desiderio di intrecciare geografia e vissuto, cartografia e memoria. Il mio lavoro di ricerca è sempre stato tracciare cammini emozionali attraverso mappature, segnando percorsi fisici per stabilire un dialogo con il paesaggio. Creare mappe è parte del mio linguaggio: ne sono ossessionato. L’ispirazione è nata parlando con il curatore Maurizio Coccia: un atlante analogico ha un peso diverso rispetto a Google Maps. Consultare una mappa cartacea richiede uno sforzo fisico e mentale che stimola l’orientamento, la memoria, la consapevolezza del percorso. Volevo riportare quell’essenza nel mio viaggio a Venezia, codificandolo proprio su quell’atlante. I disegni fissano frammenti significativi della mostra, come il Padiglione Australia e il Padiglione Polonia che mi sono rimasti impressi tanto nella memoria che nel cuore. Quel vecchio atlante inoltre non è un semplice supporto: è un  “custode dormiente” di luoghi e memorie, ora riattivato. Scansionarne le pagine e ibridarle con gli appunti ha dato corpo all’idea che il viaggio verso la Biennale sia più di uno spostamento fisico: è la metafora di una condizione esistenziale, di chi si sente straniero ovunque, sempre in transito. La scelta di stampare il libro su carta da giornale in formato tabloid crea un cortocircuito: ciò che è nato per essere consumato in un giorno diventa un archivio emotivo permanente. 

6) Il progetto sembra interrogare anche il senso stesso di “fare arte oggi”, in un sistema sempre più complesso e competitivo. Oggi, che significato ha per voi l’idea di “gentilezza” portata avanti dal Festival?

Davide Mariani: La genialità d’animo che passa dall’ascolto, alla comprensione e al rispetto dell’altro. Una gentilezza che sottolinea il senso di comunità, dell’essere uguali e allo stesso tempo diversi, del non giudicare e del riconoscersi reciprocamente: tema alla base dell’intero progetto Zona ArtiGeniale.

Franco Canu: Penso sia importante coltivare la cultura e l’arte come occasione di dibattito. L
’arte deve saper parlare a tutti, essere accessibile e smuovere domande. Ceredo che sia questa l’idea di “gentilezza” portata avanti dal Festival.


1 commento

asophia ha detto...

Bellissima intervista, bravi ragazzi. Mi ha quasi commosso la vostra opinione sulla "Gentilezza" che riporterò per intero e leggerò durante il festival.
Grazie a Giovanni Fara per il supporto, la gentilezza è anche questo, supportare l'arte e fare rete fra noi.