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Censura, silenzi, solidarietà. Arte e cultura contro il genocidio


La censura rappresenta uno degli strumenti più efficaci e insidiosi utilizzati nel conflitto israelo-palestinese per oscurare voci scomode, in particolare quelle degli artisti, intellettuali e giornalisti palestinesi.
 
Secondo Reporter Senza Frontiere e la Federazione Internazionale dei Giornalisti, più della metà dei reporter uccisi nel 2024 sono morti a Gaza. Non per “fuoco incrociato”, ma in attacchi mirati: giornalisti assassinati con le loro famiglie, sedi distrutte, troupe bombardate mentre erano in diretta. Al 30 ottobre 2023 erano già 31. Oggi siamo oltre 200. Quasi tutti palestinesi, quasi tutti ignorati dai media internazionali. Israele ha bloccato l’accesso ai media a Gaza. Niente immagini, niente testimonianze. Nel frattempo, i media italiani hanno rilanciato una narrazione rovesciata: le vittime palestinesi che resistono e si difendono vengono dipinte come terroristi, mentre i loro aggressori sono presentati come vittime.

Mentre a Gaza si bombardavano case, ospedali, scuole e panifici, in Italia il mondo dell’informazione si schierava con Israele. Mentre il mondo della musica e dello spettacolo rimaneva paralizzato dalla paura, tra autocensura e connivenza. 

Fino all’estate 2024, tra gli artisti da pacoscentico e copertine patinate, la parola “Palestina” è stata assente. Perché? Perché non conveniva. Gli artisti hanno scelto il silenzio. Per paura: di perdere ingaggi, passaggi in TV, sponsorizzazioni. Diciamolo chiaro. 

Poi qualcosa è cambiato. Il 16 luglio 2024, al Circolo Magnolia di Milano, è stato organizzato un concerto di beneficenza per Gaza, “Nessun Dorma”, con il coinvolgimento di 14 artisti tra i più attenti alle tematiche sociali, critici verso la propaganda di guerra e solidali con la causa palestinese. Sul palco sono saliti: Chadia Rodriguez, Coez, Cosmo, Dente, Ditonellapiaga, Francesca Michielin, Laila Al Habash, Mannarino, Ministri, Populous, Queen of Saba, Vasco Brondi, Venerus e Willie Peyote. Il ricavato è stato destinato a organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere, Medical Aid for Palestinians e Palestine Red Crescent Society. È stato un segnale importante, seguito da altri eventi: bandiere palestinesi sui palchi, appelli dal microfono, dichiarazioni pubbliche hanno cominciato a farsi sentire un po’ ovunque, su altri palchi, in altri contesti. Tardi, sì. Ma meglio tardi che mai.

Nel frattempo, a Gaza, si è creata una crisi umanitaria che non ha precedenti, con distruzioni massive e attacchi indiscriminati. I numeri del genocidio sono impressionanti: a fine giugno 2025, secondo il Ministero della Salute di Gaza, i morti sono 56.156. I feriti oltre 132.000. La maggioranza donne e bambini. Quartieri cancellati, intere generazioni sradicate. Nei Territori OccupatiCisgiordania e Gerusalemme Est – si contano altri 130 morti nel 2025, 503 nel 2024, 548 nel 2023. Questi dati restituiscono l’immagine di un popolo sotto assedio, ovunque.

Chi ha denunciato sin da subito tutto questo sa bene quanto si paghi un prezzo pesante. Lo sa bene chi sale su un palco e osa criticare Israele. I Massive Attack, da sempre in prima linea contro il genocidio, hanno ricevuto minacce e boicottaggi da organizzazioni sioniste come UK Lawyers for Israel (UKLFI), che inviano lettere legali, contattano festival, esercitano pressioni per censurare gli artisti solidali con la Palestina.

Pascal Robinson-Foster, voce del duo britannico Bob Vylan, è finito sotto indagine dopo aver urlato “Death to IDF” durante un live. Da lì è partita la denuncia dell’UKLFI. Per il duo sono seguiti concerti cancellati, accuse e una campagna di denigrazione mediatica, perché criticare l’esercito di uno Stato che bombarda civili significa finire nella gogna pubblica, tra boicottaggi e censura.

Eppure ogni giorno arrivano da Gaza immagini di soldati israeliani che si filmano mentre devastano le case palestinesi, ridono, si travestono con abiti trovati negli armadi, calpestano, rubano, umiliano. Un comportamento intriso di disprezzo razziale, fanatismo politico e religioso, sadismo militare. E non si tratta di episodi isolati: sono decine i video pubblicati dagli stessi soldati, fieri di ciò che fanno. Altro che “esercito più morale del mondo”: quello che si vede è un esercito che ha perso ogni riferimento etico, ogni limite umano. Un corpo armato che bombarda scuole, ospedali, campi profughi, civili inermi. Che usa il terrore come metodo e l’umiliazione come prassi. Una violenza sistematica, ostentata in diretta streaming.

Il gruppo rap irlandese Kneecap è stato incriminato dalla polizia londinese con l’accusa di “terrorismo”. Alcuni loro concerti sono stati cancellati dopo che un breve estratto video, del tutto decontestualizzato, è stato usato per accusarli di aver inneggiato ad Hamas e Hezbollah durante un’esibizione. Un gesto come il lancio di una bandiera sul palco è stato trasformato in capo d’accusa. 

In risposta, la band ha dichiarato: “Invece di difendere persone innocenti o i principi del diritto internazionale che affermano di rispettare, i potenti del Regno Unito hanno permesso omicidi e carestie a Gaza, come hanno fatto per secoli in Irlanda”. Una denuncia che smaschera l’ipocrisia di chi criminalizza la solidarietà e mette a tacere chi osa parlare.

Per questo il 17 luglio 2025, i Massive Attack hanno annunciato la nascita dell’Ethical Syndicate Palestine: un’alleanza di artisti contro il genocidio a Gaza. Vi aderiscono Brian Eno, Fontaines D.C., Kneecap, Garbage. Lo scopo è denunciare le intimidazioni sistematiche da parte di UKLFI e CAA (Campaign Against Antisemitism), che colpiscono anche accademici, studenti e ONG. Il collettivo sostiene chi viene perseguitato per aver preso posizione, e chiede: cessate il fuoco immediato e permanente, accesso umanitario a Gaza e stop alla vendita di armi a Israele.

Mentre in Italia è nata la piattaforma “Non in mio nome”. Tra le iniziative recenti, il concerto del 28 giugno 2025 a Roma, in Piazzale dei Partigiani, che ha visto la partecipazione di circa 15.000 persone, con la presenza di attivisti, artisti e volti noti come Alessandro Di Battista, Margherita Vicario, Daniele Silvestri, Mannarino, e giornalisti come Peter Gomez

(Redazione)

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