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La maschera della censura: Gergiev e la crisi della cultura democratica


Punto e a capo

La cancellazione del concerto del maestro Valery Gergiev, previsto per il 27 luglio alla Reggia di Caserta, è l’ultimo episodio di una deriva culturale e politica che sta alimentando un preoccupante sentimento russofobico in Italia, non solo sul piano politico ma anche culturale. Annullare il concerto di un maestro d’orchestra russo mostra l’ipocrisia di un Paese che si indigna per un’orchestra, ma tace davanti ai massacri quotidiani a Gaza, dove si spara su chi fa la fila per pane e acqua, mentre applaude una decisione anacronistica e demagogica, frutto di pressioni intollerabili in un ambiente culturalmente libero. 

Non si devono attribuire agli artisti le responsabilità politiche degli Stati da cui provengono. La cultura serve a mantenere vivi i valori umani universali: zittirla significa ucciderli. Ed è proprio dalla censura verso artisti e sportivi che deve partire una riflessione più profonda. Il presunto atteggiamento di superiorità morale dell’Occidente si traduce, con questo oscurantismo, in un declino culturale senza precedenti.

Una democrazia che agisce così non difende la libertà, la svuota. La cultura non può essere uno strumento politico usato a convenienza. È un linguaggio universale, un luogo di confronto e uno dei pochi ponti, insieme allo sport, che ancora tengono aperto il dialogo tra i popoli. Quando diventano strumenti di propaganda, la democrazia fallisce. Segna l’inizio della cancellazione della libertà d’espressione artistica per alimentare un pericoloso sentimento di diffidenza e odio verso tutto ciò che è russo.

Se si pretende una presa di distanza pubblica dagli artisti provvenienti da Paesi in guerra, va applicata con coerenza. Ma la realtà è diversa: chi viene dalla Russia è isolato e censurato, mentre nessuno si aspetta che un artista o uno sportivo israeliano si dissoci dal genocidio in corso a Gaza, dove invece la dissociazione sarebbe doverosa. Censurare un artista solo perché russo è un atto di barbarie culturale. Tacere sul massacro di un popolo è complicità morale.

Chi oggi festeggia la cancellazione di un concerto in nome della “democrazia” vuole una cultura come veicolo di consenso, una cultura cortigiana. Una cultura che non ci serve, non ci interessa e non ci rappresenta. Serve invece una presa di posizione chiara contro la censura di un nuovo Minculpop travestito da “buon senso” o “valori democratici”.  

Questa non è difesa della democrazia, ma un atto di censura mascherato.

(Giovanni Fara)

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