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Ozzy Osbourne è morto. Il treno pazzo si è fermato


Sono cresciuto ascoltando musica che un tempo non era considerata “buona musica”. Non ricordo l’anno esatto, avrò avuto forse quindici anni, quando da una cuffietta gracchiante di un mangianastri una tizia in giacca di pelle nera, jeans strappati e stivali robusti mi fece ascoltare per la prima
volta Diary of a Madman di Ozzy Osbourne. Facevo parte di quella generazione che gli adulti guardavano con diffidenza e preoccupazione. Chiodo, capelli lunghi, orecchini, tatuaggi (pochi, alcuni fatti a mano, e male), seduti letteralmente per terra nel salotto buono della mia città dove la sera centinaia di giovani si ritrovavano in comitiva. Noi eravamo quelli dai gusti strani, quelli della “musica di merda”.

Ieri ero impegnato in una presentazione di un libro. La notizia l’ho appresa tardi, con un messaggio arrivato intorno alle 21:00 da uno di quegli amici dell’epoca con cui ci si sente ancora. Sono rientrato a casa, mi sono seduto al PC, ho fatto una ricerca in rete e ho buttato giù queste righe su questo bizzarro e incredibile personaggio, un protagonista assoluto della rivoluzione musicale che inizia negli anni
 70 e continua per circa trentanni. Ma veniamo al sodo: chi era davvero questo Ozzy Osbourne di cui oggi parleranno proprio tutti?

Ozzy Osbourne: il Principe delle Tenebre. Il divoratore di pipistrelli. Il padrino dell’heavy metal. O, come diceva lui, semplicemente “il fratello maggiore del metal”. John Michael Osbourne, nato a Birmingham, nel West Midlands, Inghilterra, il 3 dicembre 1948, nel cuore della Gran Bretagna industriale, era dislessico, balbuziente, veniva bullizzato fin da piccolo. Il suo cognome riusciva a malapena a pronunciarlo, e non era nemmeno in grado di presentarsi. Abbandonò la scuola a 15 anni, svolse diversi lavori manuali – operaio edile, idraulico, attrezzista, meccanico, macellaio – mentre iniziava a suonare in piccole band come The Black Panthers. Senza supporto dalla famiglia, finì per commettere alcuni furti e fu persino arrestato. Il tatuaggio “O Z Z Y” sulle dita della mano sinistra se lo fece proprio lì.

Un giorno pubblicò un annuncio su un giornale locale: «Ozzy Zig requires gig. Owns own P.A.» (Ozzy Zig nece
ssita di concerti, possiedo un amplificatore.). Lo lesse Tony Iommi con il quale si conosceva sin dall’infanzia. Non si sopportavano e a scuola se le davano. Da quell’annuncio nacquero i Black Sabbath, nel 1968. Il resto è leggenda, e ve ne racconto un pezzo: sono passati ben 57 anni dalla nascita dei Black Sabbath. Una band che agli esordi la critica maltrattava, definendola volgare e priva di senso. Ma come spesso accade con le rivoluzioni sociali e i cambiamenti culturali epocali, per i Black Sabbath inseriti in un contesto in cui il rock assumeva una nuova forma, un suono capace di appassionare migliaia di giovani in tutto il mondo, succedeva così: più li odiavano, più cresceva il numero dei fan e più li apprezzavano.

I benpensanti di una società inglese imbellettata, la bollava come musica primitiva e spazzatura rumorosa. Eppure, 100 milioni di copie vendute nel mondo e decine di dischi di platino raccontano un’altra storia. 

Ma il sodalizio con i Black Sabbath si interruppe: la prima volta nel 1977, Ozzy si allontanò dalla band per problemi legati all’alcol e alla droga. Nel febbraio del 1979 venne definitivamente licenziato, perché le sue dipendenze compromettevano la sua affidabilità durante i tour e le registrazioni. Dopo il suo allontanamento, la band continuò con altri cantanti, mentre Ozzy iniziò la sua carriera solista, pubblicando il primo album Blizzard of Ozz nel 1980. Nella sua carriera ha venduto oltre 75 milioni di dischi nel mondo, 30 milioni solo negli USA.

E poi ci sono quelle storie che, vere o no, suonano tutte incredibilmente plausibili quando si parla di Ozzy. 

Da bambino si divertiva a terrorizzare i compagni vestendosi da Dracula, già allora con un certo talento per lo spettacolo. Il soprannome “Ozzy” gli rimase addosso per via della sua ossessione per Il meraviglioso mago di Oz.

A scuola, un professore lo colpiva col bastone e lui si vendicò scaldando aclune monete e lasciandole sulla cattedra, giusto per dargli il buongiorno.

Da adolescente tentò di rubare un televisore da un appartamento. Ma era troppo pesante, perse l’equilibrio e fu catturato. Passò sei settimane in galera a Birmingham, perché suo padre si rifiutò di pagargli la cauzione.

Durante i concerti, soprattutto nel tour Diary of a Madman, lanciava carne cruda sulla folla. A volte anche dieci chili di interiora, tanto per scaldare l’atmosfera.

Quando la moglie, Sharon, partorì, lui la portò in ospedale ubriaco e senza patente. Nessuno si stupì più di tanto.

Una volta, per proteggere la sua Mercedes da alcuni gatti che ci si arrampicavano sopra, Ozzy decise – a suo modo – di risolvere il problema: diciamo che la soluzione non fu propriamente animalista, si dice che sparò sui gatti.

Offrì una torta all’hashish a un prete, che svanì per tre giorni.

In un’altra occasione, tornando da un viaggio, aveva nascosto quattro grammi di coca nel calzino. Poi li consegnò, senza pensarci troppo, a una hostess.

Thelma, la sua prima moglie, provò a tenerlo lontano dai party regalandogli dei polli da accudire. Ma lui odiava i polli. Una notte, sbronzo, prese un fucile, sparò a tutti e poi diede fuoco alla gabbia.

Durante un tour in Germania, salì su un tavolo e pisciò dentro una caraffa di vino. Non lo invitarono più per anni.

Nathaniel Pearson, genetista del Genome Center di New York, analizzò il suo DNA e scoprì mutazioni mai viste prima. Forse è lì la spiegazione di come riuscisse a reggere l’incredibile quantità di alcol, droghe e farmaci di cui abusava.

Ozzy chiude la sua parabola con una contraddizione che rende opaca la sua figura. Lui e sua moglie Sharon a marzo di quest’anno firmarono una lettera aperta insieme a oltre duecento personalità dello spettacolo e del mondo degli affari contro la BBC, accusata di faziosità nel raccontare ciò che sta accadendo a Gaza. Una presa di posizione che stride con la sua stessa storia musicale. Basti ricordare War Pigs” (1970), uno dei brani più duri e impegnati dei Black Sabbath, un pezzo contro l’industria bellica e la guerra in Vietnam, un inno pacifista e antimilitarista divenuto simbolo di un’intera generazione.

E ai più attenti non sarà sfuggita, durante il concerto Back To The Beginning – l’ultimo in assoluto di Ozzy – la presenza di David Draiman, frontman dei Disturbed, noto per il suo aperto sostegno a Israele. Draiman è stato accolto anche da fischi: un segnale chiaro, una frattura che nemmeno l’entusiasmo collettivo è riuscito a nascondere. E sarebbe stato strano il contrario, visto che si è fatto fotografare mentre autografava bombe d’artiglieria in un incontro con le forze armate israeliane, ordigni responsabili dell’uccisione a Gaza di civili inermi. Le immagini, postate con orgoglio sui social, lo ritraevano anche all’interno di mezzi militari. La sua presenza lì non era casuale, non era uno sbaglio.

Dovrebbe essere un motivo di riflessione per tutti quegli artisti che un tempo mettevano in discussione il potere e che ora, dietro il paravento della solidarietà, ne riproducono la voce per denaro e convenienza. Forse è il prezzo da pagare quando si diventa immagine da cartolina, e non si è più portatori di una rivoluzione culturale. Ozzy ha finito per condividere posizioni che, di fatto, legittimano il genocidio in Palestina. E mentre il pubblico applaude – magari senza sapere o senza voler sapere – resta una domanda amara: cosa è rimasto davvero di quella rabbia, di quella musica che una volta chiamava “maiali da guerra” i generali e i governi?

Resta forse nel suono, nel disordine, nella memoria di quella generazione che ascoltava Diary of a Madman da una cuffietta gracchiante, e che sentiva la musica come una rivolta.

(Giovanni Fara)

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