Maturità: quando dire no è la vera prova
Punto e a capo
È di questi giorni la notizia – e la polemica – che ha coinvolto un liceo di Padova durante gli esami di maturità. Gianmaria Favaretto, 19 anni, studente del Liceo scientifico Enrico Fermi, ha scelto di non sostenere il colloquio orale, uno dei momenti più simbolici (e rituali) dell’esame di Stato.
Un gesto che molti, specialmente lo sciame urlante dei social, hanno subito interpretato come una mancanza di rispetto verso gli altri studenti, gli insegnanti, l’istituzione scolastica. Ma dietro quella che può apparire come una provocazione c’è qualcosa di molto più profondo: una presa di posizione consapevole su cui vale la pena riflettere.
Partiamo dai fatti: Gianmaria aveva già totalizzato 62 punti tra crediti scolastici e prove scritte. Il minimo per essere promossi è 60. Quindi, mettiamolo subito in chiaro: nessuno gli ha regalato nulla. Il suo diploma, con 65 come voto finale, è stato ottenuto secondo le regole attuali dell’Esame di Stato, regole decise dal ministero, non dagli studenti.
Dopo aver spiegato alla commissione le ragioni della sua scelta, Gianmaria ha accettato come compromesso di rispondere ad alcune domande. È così che ha preso i 3 punti in più, non come “regalo simbolico”, ma in base a una valutazione reale della sua preparazione. Anche questo va chiarito, perché troppi commenti si fermano al clamore del gesto senza voler approfondire i fatti.
La questione non è solo numerica e certamente non dettata da opportunismo come qualcuno vorrebbe farla passare. Gianmaria ha rifiutato l’orale per una ragione ben precisa: contestare un sistema scolastico che, a suo avviso (e non solo suo), valuta più la performance e la competizione che la crescita personale. Che alimenta ansia e confronto sterile, invece di aiutare i ragazzi in un reale percorso di crescita. Ha detto no ad un rito vuoto e fatto di formalità che non tiene conto di ciò che conta davvero. La scelta chiaramente l’ha fatta dopo aver riflettuto, in modo lucido, non per capriccio.
La condanna del gesto non poteva che arrivare da chi quel sistema lo rappresenta e contribuisce a mantenerlo in piedi. Come la dirigente scolastica del suo liceo, che ha liquidato la scelta come “comoda” e non coraggiosa, perché fatta solo dopo la certezza della promozione matematica.
Su questo vale la pena soffermarsi. I giovani vengono spesso accusati di immaturità e mancanza di valori. Ma siamo noi ad alimentare una società gerontocratica, fondata su regole vecchie che servono solo a conservare lo status quo. Gianmaria, invece, ha letto le regole, le ha capite, e ha deciso – a viso aperto – di fare una scelta scomoda ma coerente.
In un sistema che crea gerarchie a colpi di numeri, classifiche e punteggi, dove titoli e voti diventano strumenti di selezione classista e borghese, Gianmaria ha dimostrato autonomia di pensiero, senso critico e responsabilità. Dispiace che in pochi lo abbiano colto. Dallo sciame digitale che infesta i social, era prevedibile. Ma è più grave che non lo comprenda chi ha ruoli di responsabilità all’interno dell’istituzione scolastica. Proprio lì ci si aspetterebbe la capacità di cogliere l’occasione per interrogarsi sul senso della scuola.
Il coraggio di cambiare le cose parte da gesti come questo. Chi vuole che tutto resti com’è dovrebbe almeno chiedersi se il sistema che difende risponde ancora ai bisogni reali di chi lo vive ogni giorno.
Un gesto che molti, specialmente lo sciame urlante dei social, hanno subito interpretato come una mancanza di rispetto verso gli altri studenti, gli insegnanti, l’istituzione scolastica. Ma dietro quella che può apparire come una provocazione c’è qualcosa di molto più profondo: una presa di posizione consapevole su cui vale la pena riflettere.
Partiamo dai fatti: Gianmaria aveva già totalizzato 62 punti tra crediti scolastici e prove scritte. Il minimo per essere promossi è 60. Quindi, mettiamolo subito in chiaro: nessuno gli ha regalato nulla. Il suo diploma, con 65 come voto finale, è stato ottenuto secondo le regole attuali dell’Esame di Stato, regole decise dal ministero, non dagli studenti.
Dopo aver spiegato alla commissione le ragioni della sua scelta, Gianmaria ha accettato come compromesso di rispondere ad alcune domande. È così che ha preso i 3 punti in più, non come “regalo simbolico”, ma in base a una valutazione reale della sua preparazione. Anche questo va chiarito, perché troppi commenti si fermano al clamore del gesto senza voler approfondire i fatti.
La questione non è solo numerica e certamente non dettata da opportunismo come qualcuno vorrebbe farla passare. Gianmaria ha rifiutato l’orale per una ragione ben precisa: contestare un sistema scolastico che, a suo avviso (e non solo suo), valuta più la performance e la competizione che la crescita personale. Che alimenta ansia e confronto sterile, invece di aiutare i ragazzi in un reale percorso di crescita. Ha detto no ad un rito vuoto e fatto di formalità che non tiene conto di ciò che conta davvero. La scelta chiaramente l’ha fatta dopo aver riflettuto, in modo lucido, non per capriccio.
La condanna del gesto non poteva che arrivare da chi quel sistema lo rappresenta e contribuisce a mantenerlo in piedi. Come la dirigente scolastica del suo liceo, che ha liquidato la scelta come “comoda” e non coraggiosa, perché fatta solo dopo la certezza della promozione matematica.
Su questo vale la pena soffermarsi. I giovani vengono spesso accusati di immaturità e mancanza di valori. Ma siamo noi ad alimentare una società gerontocratica, fondata su regole vecchie che servono solo a conservare lo status quo. Gianmaria, invece, ha letto le regole, le ha capite, e ha deciso – a viso aperto – di fare una scelta scomoda ma coerente.
In un sistema che crea gerarchie a colpi di numeri, classifiche e punteggi, dove titoli e voti diventano strumenti di selezione classista e borghese, Gianmaria ha dimostrato autonomia di pensiero, senso critico e responsabilità. Dispiace che in pochi lo abbiano colto. Dallo sciame digitale che infesta i social, era prevedibile. Ma è più grave che non lo comprenda chi ha ruoli di responsabilità all’interno dell’istituzione scolastica. Proprio lì ci si aspetterebbe la capacità di cogliere l’occasione per interrogarsi sul senso della scuola.
Il coraggio di cambiare le cose parte da gesti come questo. Chi vuole che tutto resti com’è dovrebbe almeno chiedersi se il sistema che difende risponde ancora ai bisogni reali di chi lo vive ogni giorno.
(Giovanni Fara)
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