Premi, marketing e narrativa prefabbricata: il grande inganno dell’editoria di massa
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Foto di Akutagawa Ryunosuke, scrittore e poeta a cui è dedicato il Premio Akutagawa |
Abbiamo affrontato l’argomento sul nostro sito in occasione del clamore suscitato dalla premiazione in Giappone, nel 2024, del libro di Rie Kudan Tokyo Sympathy Tower, per via dell’uso da parte dell’autrice dell’intelligenza artificiale per scrivere il 5% del testo. Il premio in questione è il più prestigioso premio letterario del Giappone. Si chiama Akutagawa, e da quasi un secolo fa esattamente quello che un premio dovrebbe fare: scoprire nuove voci, valorizzare scritture sperimentali, lanciare nuovi successi e carriere letterarie. Senza passare dal via delle grandi case editrici. Senza inchinarsi ai diktat del mainstream. Senza la solfa dei “soliti noti”.
Se in Italia fosse stato proposto un libro sperimentale come quello della giovane autrice giapponese, sarebbe sicuramente scoppiata una polemica costruita ad arte dai media, che ne avrebbero parlato in modo superficiale, senza approfondire il fatto che l’uso dell’intelligenza artificiale fosse contestuale e funzionale al tema affrontato nel libro (trovi la nostra recensione qui: TokyoSympathy Tower: tra distopia tecnologica e alienazione sociale).
Ci ha pensato L’Ippocampo a portare questo particolarissimo libro – interessante non solo per la sperimentazione dell’uso dell’intelligenza artificiale ma anche per la struttura narrativa e la profonda critica sociale presente tra le pagine – pubblicandolo quest’anno, nell’aprile 2025 nella sua collana di narrativa internazionale.
In Giappone Rie Kudane è stata premiata perché contano la scrittura, la visione, il coraggio, la critica sociale. In Italia, invece, i premi letterari più noti – Strega e Campiello – sono vetrine dei grandi gruppi editoriali. Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Rizzoli: cambia il nome sul libro, ma dietro c’è sempre lo stesso cartello di interessi che decide il bello e il cattivo tempo. Chi vince? Quasi sempre autori già pubblicati, già premiati, già “garantiti”. Una consacrazione, non una scoperta. Una passerella, non un laboratorio.
Sì, esistono anche premi come l’Italo Calvino, che provano a dare spazio agli esordienti. Ma fuori dal circuito mainstream fanno fatica a farsi sentire. Non hanno la stessa eco, non spostano le classifiche, non muovono l’immaginario collettivo che non riesce ad orientarsi in un modo diverso da quello che la macchina del marketing editoriale “impone” sul mercato. Alla faccia della bibliodiversità e di tutta la retorica vuota che ci si costruisce attorno in assenza di politiche culturali diverse che consentano agli esordienti di essere notati e non restare confinati in una nicchia.
E allora chiediamoci: perché in Italia non esiste un vero premio per chi scrive fuori dai binari? Per chi sperimenta? Per chi osa?
In Italia, finché continueremo a confondere i premi con le sfilate, le novità con le eccezioni, gli esordienti resteranno fuori dai giochi. E noi continueremo a leggerci addosso, con le solite facce e le solite storie. È ora di cambiare le regole. O di buttarle giù e riscriverle da capo. Come? Cominciando a evidenziare quanto di macroscopico non va nel mondo del libro e in tutto ciò che gli ruota intorno, e iniziando a costruire qualcosa di completamente diverso.
Se in Italia fosse stato proposto un libro sperimentale come quello della giovane autrice giapponese, sarebbe sicuramente scoppiata una polemica costruita ad arte dai media, che ne avrebbero parlato in modo superficiale, senza approfondire il fatto che l’uso dell’intelligenza artificiale fosse contestuale e funzionale al tema affrontato nel libro (trovi la nostra recensione qui: TokyoSympathy Tower: tra distopia tecnologica e alienazione sociale).
Ci ha pensato L’Ippocampo a portare questo particolarissimo libro – interessante non solo per la sperimentazione dell’uso dell’intelligenza artificiale ma anche per la struttura narrativa e la profonda critica sociale presente tra le pagine – pubblicandolo quest’anno, nell’aprile 2025 nella sua collana di narrativa internazionale.
In Giappone Rie Kudane è stata premiata perché contano la scrittura, la visione, il coraggio, la critica sociale. In Italia, invece, i premi letterari più noti – Strega e Campiello – sono vetrine dei grandi gruppi editoriali. Mondadori, Einaudi, Feltrinelli, Rizzoli: cambia il nome sul libro, ma dietro c’è sempre lo stesso cartello di interessi che decide il bello e il cattivo tempo. Chi vince? Quasi sempre autori già pubblicati, già premiati, già “garantiti”. Una consacrazione, non una scoperta. Una passerella, non un laboratorio.
Sì, esistono anche premi come l’Italo Calvino, che provano a dare spazio agli esordienti. Ma fuori dal circuito mainstream fanno fatica a farsi sentire. Non hanno la stessa eco, non spostano le classifiche, non muovono l’immaginario collettivo che non riesce ad orientarsi in un modo diverso da quello che la macchina del marketing editoriale “impone” sul mercato. Alla faccia della bibliodiversità e di tutta la retorica vuota che ci si costruisce attorno in assenza di politiche culturali diverse che consentano agli esordienti di essere notati e non restare confinati in una nicchia.
E allora chiediamoci: perché in Italia non esiste un vero premio per chi scrive fuori dai binari? Per chi sperimenta? Per chi osa?
Perché l’industria editoriale ha paura. Paura del nuovo, del diverso, dell’imprevedibile. Paura che un autore sconosciuto possa scrivere qualcosa di meglio del “big” da copertina patinata. Paura di perdere il controllo e la posizione dominante sul mercato del libro.
I grandi colossi editoriali in Italia controllano ogni aspetto della filiera:
- la produzione e i cataloghi, pubblicando la maggior parte dei titoli più visibili e venduti, spesso puntando su autori già affermati o su generi commercialmente sicuri;
- la distribuzione, grazie ad accordi stretti con distributori legati ai grandi gruppi e a reti di librerie affiliate, che garantiscono una presenza capillare nei canali fisici e online;
- i premi letterari e le fiere, dove dettano l’agenda culturale sostenendo e partecipando ai principali eventi del settore – dal Premio Strega al Campiello, dal Salone del Libro di Torino a Più libri più liberi, fino alla Fiera di Francoforte. Da quest’anno, anche il Book Pride è entrato nell’orbita del Salone del Libro, con il rischio concreto che diventi l’ennesima vetrina riservata ai medi e grandi editori, come già avvenuto per altre fiere.
A tutto questo si aggiunge l’influenza sui media e sul mercato: la capacità di investire in promozione, pubblicità e presenza mediatica rafforza ulteriormente la loro posizione dominante, rendendo sempre più difficile per i piccoli editori – con il loro panorama di voci nuove – emergere e raggiungere un pubblico ampio.
Il Premio Akutagawa insegna che si può fare diversamente. Che si può premiare chi non ha alle spalle un ufficio stampa mediaticamente ben piazzato. Che si può far esplodere un talento sconosciuto e portarlo dritto nelle librerie anche senza contare su un successo costruito a tavolino.
I grandi colossi editoriali in Italia controllano ogni aspetto della filiera:
- la produzione e i cataloghi, pubblicando la maggior parte dei titoli più visibili e venduti, spesso puntando su autori già affermati o su generi commercialmente sicuri;
- la distribuzione, grazie ad accordi stretti con distributori legati ai grandi gruppi e a reti di librerie affiliate, che garantiscono una presenza capillare nei canali fisici e online;
- i premi letterari e le fiere, dove dettano l’agenda culturale sostenendo e partecipando ai principali eventi del settore – dal Premio Strega al Campiello, dal Salone del Libro di Torino a Più libri più liberi, fino alla Fiera di Francoforte. Da quest’anno, anche il Book Pride è entrato nell’orbita del Salone del Libro, con il rischio concreto che diventi l’ennesima vetrina riservata ai medi e grandi editori, come già avvenuto per altre fiere.
A tutto questo si aggiunge l’influenza sui media e sul mercato: la capacità di investire in promozione, pubblicità e presenza mediatica rafforza ulteriormente la loro posizione dominante, rendendo sempre più difficile per i piccoli editori – con il loro panorama di voci nuove – emergere e raggiungere un pubblico ampio.
Il Premio Akutagawa insegna che si può fare diversamente. Che si può premiare chi non ha alle spalle un ufficio stampa mediaticamente ben piazzato. Che si può far esplodere un talento sconosciuto e portarlo dritto nelle librerie anche senza contare su un successo costruito a tavolino.
In Italia, finché continueremo a confondere i premi con le sfilate, le novità con le eccezioni, gli esordienti resteranno fuori dai giochi. E noi continueremo a leggerci addosso, con le solite facce e le solite storie. È ora di cambiare le regole. O di buttarle giù e riscriverle da capo. Come? Cominciando a evidenziare quanto di macroscopico non va nel mondo del libro e in tutto ciò che gli ruota intorno, e iniziando a costruire qualcosa di completamente diverso.
(La Redazione)
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