Davide Piras, terzo classificato nel premio internazionale città di Como
- Cosa racconti nel tuo libro?
Buongiorno a tutti. Il libro è un’opera che può incastonarsi nel genere storico, anche se la parte centrale – pur snodandosi in un’epoca ben definita – potrebbe anche essere intesa come romanzo di formazione. L’idea prende vita dai bombardamenti che nel 1943 distrussero Cagliari e costrinsero gran parte della popolazione a cercare rifugio nei paesi limitrofi. L’ambientazione è il mio paese natale, Terralba, che realmente ha ospitato tanti cagliaritani sfuggiti alle bombe, soprattutto pescatori. Non a caso il titolo deriva etimologicamente dal nome antico di Terralba. Il libro racconta l’epopea dei bambini Saverio e Giulio – il primo orfano; il secondo con sindrome di down – che diverranno fratelli di sangue. La vicenda, attraverso le loro vicissitudini d’infanzia, adolescenza ed età adulta attraversa 30 anni di storia d’Italia e di Sardegna: dall’annuncio di Badoglio alla chiusura dei manicomi, passando per la caduta del Fascismo e la nascita della Repubblica. All’interno del romanzo sono presenti i tratti caratteristici delle popolazioni campidanesi, le quali, a mio avviso, presentano usi, costumi e tradizioni meno inflazionati rispetto ad altre zone di Sardegna ampiamente battute dalla letteratura nostrana e non. In questo libro tutto si basa sul senso di colpa e sulla difficoltà ad accettare il diverso. Forse è per questo motivo che la storia appare ancora attuale ed è stata scelta in tante scuole come libro didattico per raccontare il realismo agli studenti.
- Il libro è uscito nel 2016 per Giulio Perrone Editore. Il premio di Como è il riconoscimento più importante ottenuto dal tuo romanzo fino ad oggi. Quali altri riconoscimenti hai ricevuto dalla critica e come è stato accolto dal pubblico, soprattutto in Sardegna dove è ambientata la trama?
In realtà il Premio Internazionale di Como è l’unico concorso letterario al quale è stato iscritto il romanzo. Tra l’altro la partecipazione è stata casuale e senza alcuna aspettativa, visti i 2600 libri in gara, dei quali 880 giunti dai più importanti scrittori italiani pubblicati dai colossi editoriali. La critica ha accolto molto bene il romanzo: sono stati elogiati in particolar modo lo stile, la scelta del linguaggio e ovviamente la storia. Ho ricevuto apprezzamenti da tanti colleghi autori e sono arrivate anche delle recensioni importanti su Repubblica, L’Unione Sarda, La Nuova Sardegna, O’Magazine. In un articolo apparso su Sardinia Post, Terra Bianca è stato indicato come il libro più adatto a spiegare la cultura isolana ai forestieri. Sono stato nel Lazio, in Piemonte e in Sicilia per promuovere il libro e anche lì ho trovato grande entusiasmo: il romanzo è piaciuto davvero tanto e mi sono accorto che la scrittura di noi sardi – influenzata dal dialetto e molto diversa dall’italiano degli italiani – attrae in maniera enorme chi la legge. Veniamo visti come un popolo quasi esotico e ne sono affascinati. In Sardegna devo dire che l’attenzione è stata nettamente minore: poche presentazioni, poco pubblico, poche recensioni. Ma è normale che sia così: la differenza la fanno i librai che ordinano e propongono il tuo libro e io essendo anche un libraio so bene che spesso si preferisce andare sul sicuro con autori già affermati. In fondo credo sia giusto così: le librerie arrancano e il rischio d’impresa non sempre vale la candela.
- Cosa pensi debba essere fatto per valorizzare maggiormente gli autori sardi da parte di editori e istituzioni pubbliche?
Non ho risposte universali in tal senso e credo che nessuno abbia in mano la verità assoluta. Dico la mia, un mero e umile parere personale. Per quanto riguarda il lavoro degli editori è semplice definire un modus operandi: selezionare testi di valore e investire nella promozione che in un microcosmo editoriale come la Sardegna può essere anche un rapporto diretto con i librai, il vecchio porta a porta che crei un rapporto di fiducia legato a filo continuo dalla conoscenza e dalla condivisione di spazi e obiettivi. Se invece l’ambizione è maggiore e si intende raggiungere l’apice anche nello stivale, beh la strada è più lunga e tortuosa: sono necessarie tante copie da inviare ai critici più quotati; occorrono tirature alte che permettano ai librai di avere nell’immediato il libro; bisogna investire nei tour che mandino in giro l’autore; è vitale tessere una ragnatela di contatti che dia autorevolezza e visibilità all’editore. In parole spicce, per dirlo banalmente: servono strategia, soldi e fortuna, ché il successo di un libro non ha una ricetta definita e arriva sempre in modi differenti, oppure può non arrivare mai.
Le istituzioni pubbliche dovrebbero incentivare la lettura di determinati libri attraverso l’acquisto copie e la distribuzione nelle scuole. Dovrebbero imporre alle biblioteche del territorio di prediligere i libri sardi meritevoli a discapito di certa letteratura commerciale che non fa neppure bene ai ragazzi. E magari, quando elargiscono dei contributi per manifestazioni letterarie e festival, forse dovrebbero inserire nero su bianco alcune regole imprescindibili, ad esempio che parte di quel denaro venga utilizzato esclusivamente per dare spazio agli autori ed editori sardi, anche se è importantissimo che l’internazionalità non vada persa: aprire gli orizzonti e confrontarsi aiuta la crescita di tutti; chiudersi a testuggine porta a conoscere esclusivamente la propria realtà. Serve il giusto mix, come in un buon cocktail.
- Prossimi progetti letterari in cantiere? Stai lavorando alla trama di un nuovo libro?
Il mio prossimo romanzo uscirà a metà marzo, sempre per Giulio Perrone editore, e s’intitolerà “Gigi Riva – Rombo di tuono”. Si tratta di un romanzo ispirato alla vita del nostro più celebre calciatore Basandomi sulla sua vita, ho cercato di inserire il punto di vista dell’autore. Non è una biografia in alcun modo: siamo nell’ambito della narrativa pura e cruda. Ho terminato anche un altro romanzo storico che racconta la vicenda dei 17 militari sardi trucidati dalle SS nei boschi di Montefosco dopo l’annuncio di Badoglio nel settembre del 1943. Uno di essi era mio prozio. Ho impiegato 6 anni per ricostruire la vicenda a terminare l’inchiesta. Al romanzo verrò appunto allegato un fascicolo con la mia inchiesta che racconterà i fatti reali senza episodi romanzati. A questo libro si è interessato Vittorio Sgarbi in persona. Vediamo che succede.
Grazie per lo spazio concessomi. Un saluto e a presto.
Lascia un commento