Vandalismo. Condannare o analizzare?
La città di Alghero ha aperto i propri festeggiamenti in occasione delle feste presentando il progetto “Un pensiero per te” ideato dall’interior designer Tonino Serra e prodotto dai ragazzi e dalle ragazze del liceo artistico F. Costantino di Alghero, con la collaborazione degli studenti e studentesse del liceo scientifico E. Fermi aiutati dai tutor e dai docenti. Il progetto prevede la realizzazione dell’albero di Natale per la città di Alghero, un progetto che dimostra la sua costanza da diversi anni, con la collaborazione del liceo artistico. Quest’anno l’albero è composto dal corallo, (come elemento emblematico della città di Alghero), dalle stelle, le quali delineano la struttura dell’intera installazione colorando d’oro l’albero, ed il quale, congiunto al turchese dei riflessi, ovvero dei “dadi senza numeri”, dona alla vista un morbido connubio di colori. Sulle composizioni cubiche color turchese, i ragazzi e le ragazze hanno scritto parole contenenti positività (amore, vita, pace, libertà ecc.); dalle parole dello stesso Serra: “Quest’anno l’albero di Natale ha un valore molto profondo, il titolo è “Un pensiero per Te”. Ogni ragazzo scriverà una parola positiva che esorta all’ottimismo per questo periodo storico che abbiamo attraversato”. [1]
In questi giorni però, l’installazione non trova il suo
protagonismo solo in termini di positività e festeggiamenti; è stato anche
oggetto di danneggiamento, rompendo alcune delle composizioni sulle quali sono
state scritte le parole di positività. La città ha attraversato dunque un nuovo
esempio del cosiddetto vandalismo, un tema che ricade pesantemente sulla
questione giovanile e sugli occhi che la società pone sui giovani. Ci troviamo
davanti a uno scenario dove in primo piano le testate giornalistiche e molte
persone bollano le azioni del cosiddetto vandalismo e del disordine, come
anarchia, per parlare invece della loro anomia, (“il vostro ordine è il nostro
disordine” Pietro Gori) e dall’altra, in secondo piano, seguendo l’ordine dei
riflettori, il burrone dove cade la società quando si occupa e non si occupa
dei giovani in città. Il vuoto, la mancanza di rispetto, la povertà culturale,
è anche e soprattutto, sinonimo di assenza o tentativo di impedimento dei
centri sociali, culturali, e iniziative che includano e rendano protagonisti i
giovani, non solo per i progetti, ma per una partecipazione attiva nel sociale;
e ancora, da troppo tempo, la mancanza di un’educazione profonda, volta alla
stimolazione, alla seduzione, alla sperimentazione e al coinvolgimento.
Condannare il vandalismo oggi e correre a prendere fra le
mani le telecamere, significa declassare nuovamente l’analisi e le cause della
noia, della tristezza, dell’alienazione, della felicità: l’analisi giovanile. Ma
dopo questo fatto, da parte della gente, come reazioni gettonate sembrano
essere vincenti: la fervida richiesta di più telecamere, l’insulto assoluto e
netto nei confronti dei giovani, la caccia solo ai responsabili (i giovani a
dir loro) mentre desiderano la punizione altrui e fantasticano su quale pena
sarebbe più opportuna, e la lamentela “ecco perché ad Alghero non si fanno iniziative.
Questo è il risultato”, lamentandosi per la mancanza di iniziative per
attaccare il vandalismo invece che utilizzare la lamentela come descrizione di
una delle cause per le quali lo stesso vandalismo (e non solo) esiste.
Ma continuando, tra le reazioni a tale fatto, il sindaco
Mario Conoci, si è espresso così: “Fotografiamolo e rispettiamolo. Azione
sconsiderata. Vandalizzare l’Albero di Natale, simbolo delle nostre feste,
significa non avere rispetto né per la propria città né del lavoro e impegno
altrui. Nella zona ci sono svariate telecamere utili ad individuare i
responsabili di tale gesto.” [2]
Però, che stranezza e che curiosità mi suscita quando
sostiene che questa azione vandalica significa la mancanza di rispetto per la
propria città e per il lavoro e impegno altrui… mi ricorda proprio l’alienazione
da se stessi, da ciò che ci circonda e dai nostri simili; un concetto che però
il sindaco come tanti altri non denunciano mai con fermezza e radicalismo, ma
anzi rifuggono e lo gettano via, tra l’indifferenza e l’accettazione dell’odierno
assetto sociale che promuove proprio tale concetto… il suo è un paradosso o una “semplice”
retorica ipocrita?
Dopodiché, dalle parole del Sindaco risuona prepotentemente l’appello alle telecamere... Questo vostro modo di gestirvi è così curioso, così legato allo spettacolo sociale... spectare, guardare, fare la guardia, anziché percepire, vedere, sentire.
Ma vorrei includere nella riflessione anche l’installazione stessa. Ciò che posso dire in merito non rientra nell’ambito artistico e tecnico della realizzazione, ma in ambito ideologico, sociale, e dove anche in tale ambito intravedo un significato morale.
Come si è detto più volte uno degli obbiettivi dell’installazione, oltre ad essere una dimostrazione dell’arte del riciclo, è anche la volontà di esortare all’ottimismo, dopo i due anni passati. È proprio su questo obbiettivo che personalmente ripongo perplessità e critica. Perché esortare proprio all’ottimismo? Stiamo ancora attraversando o abbiamo attraversato, momenti intrisi di sofferenza, violenza e dolore?
Sento l’esigenza di una costante riflessione critica, e per
quanto possibile, analisi e comprensione dei meccanismi sociali. E proprio
sulla base di ciò che ho appena sottolineato, mi pare che uno degli obiettivi
dell’installazione non rispecchi totalmente le caratteristiche summenzionate,
bensì sembra apparire come un’ottimistica e frettolosa fuga sentimentale dal
dolore, ancora non vinto. Non credo alla positività, se questa viene utilizzata
per subordinare altre emozioni come la tristezza, la rabbia, il dolore. Non amo
vivere la felicità come un feticcio e il dolore come un tabù.
L’estensione della riflessione critica, la quale include l’oggetto
danneggiato, è fondamentale per cercare anche un nesso tra l’atto e l’opera,
scorgendo in entrambi una caratteristica: l’espressione delle proprie idee.
Come già detto tra gli obbiettivi dell’installazione, il
principale era quello di veicolare la voglia di serenità. Una voglia e
rappresentazione della serenità sgombra di un racconto reale e non sereno;
sgombra di una descrizione della totalità delle emozioni che ancora esistono e
persistono, come conseguenze di una gestione sociale ancora ferma nei suoi
nodi. Ma aldilà della mia posizione, l’obiettivo era chiaro.
Ebbene quando ci
troviamo di fronte a un atto violento come questo, piuttosto che stigmatizzare
gli autori dell’atto credo sia necessario focalizzarsi su questo tipo di
risposta a una realizzazione artistica.
Perché il vandalismo, è un espressione, che può essere mossa
da ebbrezza, noia, incoscienza verso l’idea stessa e l’oggetto che andrà
deturpato, voglia di divertimento, trasgressione, disordine ecc.
Leggendo le parole scritte sugli stessi “dadi senza numeri”
rotti dai vandali, e parlando dunque della voglia di serenità, di vita, di
pace, come non chiedersi in che modo oggi si vive la serenità, il divertimento,
la trasgressione, la noia? E perché si vive anche deturpando per manifestare
queste caratteristiche?
E ancora, perché esiste l’incoscienza?
La noia può essere positiva, come tante caratteristiche
umane, e chiedersi il perché sia stato usato il vandalismo per esprimere la noia
o altri sentimenti, porta ad una spirale riflessiva fatta di tanti quesiti...
Fra questi: i giovani sono annoiati? E perché? La noia la vivono o la
subiscono? I giovani sono felici? I giovani sanno chiedersi se sono felici?
Forse (per vie inconsapevoli o meno) è una delle cause di tali
atti, il non riconoscersi e non essere riconosciuto componente attivo di una
società, vedere che la proprietà sociale viene esclusa dall’idea odierna di
distribuzione e organizzazione. Poiché, pur utilizzando una similitudine
attraverso la seguente citazione, è fondamentale sostenere che:
“Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente,
distruggere la causa. Se esiste il furto è perché “tutto” appartiene solamente
a “qualcuno”. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune
gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.” [3]
Data la complessità del vandalismo dopo aver guardato anche
dietro le sue spalle, tale espressione non può essere liquidata nel processo “telecamere
- condanna individuale - giustizia formale - avanti il prossimo”, perché è di
fatto un’espressione, ed il modo d’attuazione è una conseguenza; lo specchio di
una società opaca. Cercando di allargare il contenuto a un’ampia tematica
sociale, mentre lo specchio (il gesto dei vandali) è impulsivo e trasparente, l’oggetto
riflettente (la società) è invece moderato e ipocrita; ridente edificatore di
una “pace terrificante”.
Condannare il vandalismo senza proporre realtà stimolanti a
lunga durata e ad ampio coinvolgimento; è questo il vero atto da ritenere
sconsiderato: una società che non riflette, e che non analizza le sue
conseguenze ma anzi le condanna e rinnegandole, le fa figlie di un’idea di
società che le è estranea, come l’anarchia, che secondo voi regna spesso
sovrana, quando spesso, in questi casi la sovranità appartiene all’anomia.
Inevitabilmente questi fatti hanno posto di fronte a noi,
per l’ennesima volta, la descrizione di una realtà dove è impossibile scrivere
e volere solo amore e pace, ma dove è chiaro e necessario che la brama di
serenità si sposi con una consapevole descrizione reale dei nostri passi, i
quali causano e attraversano anche dolore, violenza sociale, rabbia.
Il vandalismo ha riportato il contenuto morale dell’installazione
alla realtà, nella quale sì, si può dire d’aver voglia di serenità, ma sui
mezzi per raggiungerla, la polvere affoga la voce.
Per concludere romanzando i fatti e allargando i temi: la
monopolizzazione della serenità è stata rotta dalla monopolizzazione del
rifiuto della serenità obbligatoria e sola espressione formale e verbale, dando
sfogo alla sola ed insulsa condanna al vandalismo senza interrogarsi,
analizzare, ascoltare.
“Gli uomini sono come partout ailleurs”
Giacomo Leopardi
NOTE:
[1] https://fb.watch/9TB3PQEj6m/
[2] https://www.facebook.com/1576771735711516/posts/4535346103187383/
[3] Dal libro: “Rubare per l’anarchia, Alexandre Marius
Jacob, ovvero la singolare guerra di classe di un sovversivo della belle époque”,
Jean Marc-Delpech. Eléuthera.
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