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Vandalismo. Condannare o analizzare?


di Cristian Augusto Grosso

La città di Alghero ha aperto i propri festeggiamenti in occasione delle feste presentando il progetto “Un pensiero per te” ideato dall’interior designer Tonino Serra e prodotto dai ragazzi e dalle ragazze del liceo artistico F. Costantino di Alghero, con la collaborazione degli studenti e studentesse del liceo scientifico E. Fermi aiutati dai tutor e dai docenti. Il progetto prevede la realizzazione dell’albero di Natale per la città di Alghero, un progetto che dimostra la sua costanza da diversi anni, con la collaborazione del liceo artistico. Quest’anno l’albero è composto dal corallo, (come elemento emblematico della città di Alghero), dalle stelle, le quali delineano la struttura dell’intera installazione colorando d’oro l’albero, ed il quale, congiunto al turchese dei riflessi, ovvero dei “dadi senza numeri”, dona alla vista un morbido connubio di colori. Sulle composizioni cubiche color turchese, i ragazzi e le ragazze hanno scritto parole contenenti positività (amore, vita, pace, libertà ecc.); dalle parole dello stesso Serra: “Quest’anno l’albero di Natale ha un valore molto profondo, il titolo è “Un pensiero per Te”. Ogni ragazzo scriverà una parola positiva che esorta all’ottimismo per questo periodo storico che abbiamo attraversato”. [1]

In questi giorni però, l’installazione non trova il suo protagonismo solo in termini di positività e festeggiamenti; è stato anche oggetto di danneggiamento, rompendo alcune delle composizioni sulle quali sono state scritte le parole di positività. La città ha attraversato dunque un nuovo esempio del cosiddetto vandalismo, un tema che ricade pesantemente sulla questione giovanile e sugli occhi che la società pone sui giovani. Ci troviamo davanti a uno scenario dove in primo piano le testate giornalistiche e molte persone bollano le azioni del cosiddetto vandalismo e del disordine, come anarchia, per parlare invece della loro anomia, (“il vostro ordine è il nostro disordine” Pietro Gori) e dall’altra, in secondo piano, seguendo l’ordine dei riflettori, il burrone dove cade la società quando si occupa e non si occupa dei giovani in città. Il vuoto, la mancanza di rispetto, la povertà culturale, è anche e soprattutto, sinonimo di assenza o tentativo di impedimento dei centri sociali, culturali, e iniziative che includano e rendano protagonisti i giovani, non solo per i progetti, ma per una partecipazione attiva nel sociale; e ancora, da troppo tempo, la mancanza di un’educazione profonda, volta alla stimolazione, alla seduzione, alla sperimentazione e al coinvolgimento.

Condannare il vandalismo oggi e correre a prendere fra le mani le telecamere, significa declassare nuovamente l’analisi e le cause della noia, della tristezza, dell’alienazione, della felicità: l’analisi giovanile. Ma dopo questo fatto, da parte della gente, come reazioni gettonate sembrano essere vincenti: la fervida richiesta di più telecamere, l’insulto assoluto e netto nei confronti dei giovani, la caccia solo ai responsabili (i giovani a dir loro) mentre desiderano la punizione altrui e fantasticano su quale pena sarebbe più opportuna, e la lamentela “ecco perché ad Alghero non si fanno iniziative. Questo è il risultato”, lamentandosi per la mancanza di iniziative per attaccare il vandalismo invece che utilizzare la lamentela come descrizione di una delle cause per le quali lo stesso vandalismo (e non solo) esiste.

Ma continuando, tra le reazioni a tale fatto, il sindaco Mario Conoci, si è espresso così: “Fotografiamolo e rispettiamolo. Azione sconsiderata. Vandalizzare l’Albero di Natale, simbolo delle nostre feste, significa non avere rispetto né per la propria città né del lavoro e impegno altrui. Nella zona ci sono svariate telecamere utili ad individuare i responsabili di tale gesto.” [2]

Però, che stranezza e che curiosità mi suscita quando sostiene che questa azione vandalica significa la mancanza di rispetto per la propria città e per il lavoro e impegno altrui… mi ricorda proprio l’alienazione da se stessi, da ciò che ci circonda e dai nostri simili; un concetto che però il sindaco come tanti altri non denunciano mai con fermezza e radicalismo, ma anzi rifuggono e lo gettano via, tra l’indifferenza e l’accettazione dell’odierno assetto sociale che promuove proprio tale concetto… il suo è un paradosso o una “semplice” retorica ipocrita?

Dopodiché, dalle parole del Sindaco risuona prepotentemente l’appello alle telecamere... Questo vostro modo di gestirvi è così curioso, così legato allo spettacolo sociale... spectare, guardare, fare la guardia, anziché percepire, vedere, sentire. 

Ma vorrei includere nella riflessione anche l’installazione stessa. Ciò che posso dire in merito non rientra nell’ambito artistico e tecnico della realizzazione, ma in ambito ideologico, sociale, e dove anche in tale ambito intravedo un significato morale. 

Come si è detto più volte uno degli obbiettivi dell’installazione, oltre ad essere una dimostrazione dell’arte del riciclo, è anche la volontà di esortare all’ottimismo, dopo i due anni passati. È proprio su questo obbiettivo che personalmente ripongo perplessità e critica. Perché esortare proprio all’ottimismo? Stiamo ancora attraversando o abbiamo attraversato, momenti intrisi di sofferenza, violenza e dolore?

Sento l’esigenza di una costante riflessione critica, e per quanto possibile, analisi e comprensione dei meccanismi sociali. E proprio sulla base di ciò che ho appena sottolineato, mi pare che uno degli obiettivi dell’installazione non rispecchi totalmente le caratteristiche summenzionate, bensì sembra apparire come un’ottimistica e frettolosa fuga sentimentale dal dolore, ancora non vinto. Non credo alla positività, se questa viene utilizzata per subordinare altre emozioni come la tristezza, la rabbia, il dolore. Non amo vivere la felicità come un feticcio e il dolore come un tabù.

L’estensione della riflessione critica, la quale include l’oggetto danneggiato, è fondamentale per cercare anche un nesso tra l’atto e l’opera, scorgendo in entrambi una caratteristica: l’espressione delle proprie idee.

Come già detto tra gli obbiettivi dell’installazione, il principale era quello di veicolare la voglia di serenità. Una voglia e rappresentazione della serenità sgombra di un racconto reale e non sereno; sgombra di una descrizione della totalità delle emozioni che ancora esistono e persistono, come conseguenze di una gestione sociale ancora ferma nei suoi nodi. Ma aldilà della mia posizione, l’obiettivo era chiaro.

Ebbene quando ci troviamo di fronte a un atto violento come questo, piuttosto che stigmatizzare gli autori dell’atto credo sia necessario focalizzarsi su questo tipo di risposta a una realizzazione artistica.

Perché il vandalismo, è un espressione, che può essere mossa da ebbrezza, noia, incoscienza verso l’idea stessa e l’oggetto che andrà deturpato, voglia di divertimento, trasgressione, disordine ecc.

Leggendo le parole scritte sugli stessi “dadi senza numeri” rotti dai vandali, e parlando dunque della voglia di serenità, di vita, di pace, come non chiedersi in che modo oggi si vive la serenità, il divertimento, la trasgressione, la noia? E perché si vive anche deturpando per manifestare queste caratteristiche?

E ancora, perché esiste l’incoscienza?

La noia può essere positiva, come tante caratteristiche umane, e chiedersi il perché sia stato usato il vandalismo per esprimere la noia o altri sentimenti, porta ad una spirale riflessiva fatta di tanti quesiti... Fra questi: i giovani sono annoiati? E perché? La noia la vivono o la subiscono? I giovani sono felici? I giovani sanno chiedersi se sono felici?

Forse (per vie inconsapevoli o meno) è una delle cause di tali atti, il non riconoscersi e non essere riconosciuto componente attivo di una società, vedere che la proprietà sociale viene esclusa dall’idea odierna di distribuzione e organizzazione. Poiché, pur utilizzando una similitudine attraverso la seguente citazione, è fondamentale sostenere che:

“Per eliminare un effetto, bisogna, preventivamente, distruggere la causa. Se esiste il furto è perché “tutto” appartiene solamente a “qualcuno”. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene, lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.” [3]

Data la complessità del vandalismo dopo aver guardato anche dietro le sue spalle, tale espressione non può essere liquidata nel processo “telecamere - condanna individuale - giustizia formale - avanti il prossimo”, perché è di fatto un’espressione, ed il modo d’attuazione è una conseguenza; lo specchio di una società opaca. Cercando di allargare il contenuto a un’ampia tematica sociale, mentre lo specchio (il gesto dei vandali) è impulsivo e trasparente, l’oggetto riflettente (la società) è invece moderato e ipocrita; ridente edificatore di una “pace terrificante”.

Condannare il vandalismo senza proporre realtà stimolanti a lunga durata e ad ampio coinvolgimento; è questo il vero atto da ritenere sconsiderato: una società che non riflette, e che non analizza le sue conseguenze ma anzi le condanna e rinnegandole, le fa figlie di un’idea di società che le è estranea, come l’anarchia, che secondo voi regna spesso sovrana, quando spesso, in questi casi la sovranità appartiene all’anomia.

Inevitabilmente questi fatti hanno posto di fronte a noi, per l’ennesima volta, la descrizione di una realtà dove è impossibile scrivere e volere solo amore e pace, ma dove è chiaro e necessario che la brama di serenità si sposi con una consapevole descrizione reale dei nostri passi, i quali causano e attraversano anche dolore, violenza sociale, rabbia.

Il vandalismo ha riportato il contenuto morale dell’installazione alla realtà, nella quale sì, si può dire d’aver voglia di serenità, ma sui mezzi per raggiungerla, la polvere affoga la voce.

Per concludere romanzando i fatti e allargando i temi: la monopolizzazione della serenità è stata rotta dalla monopolizzazione del rifiuto della serenità obbligatoria e sola espressione formale e verbale, dando sfogo alla sola ed insulsa condanna al vandalismo senza interrogarsi, analizzare, ascoltare.


“Gli uomini sono come partout ailleurs”
Giacomo Leopardi

 

NOTE:

[1] https://fb.watch/9TB3PQEj6m/

[2] https://www.facebook.com/1576771735711516/posts/4535346103187383/

[3] Dal libro: “Rubare per l’anarchia, Alexandre Marius Jacob, ovvero la singolare guerra di classe di un sovversivo della belle époque”, Jean Marc-Delpech. Eléuthera.

1 commento

Luana Farina Martinelli ha detto...

Ottima riflessione alla quale mi associo sostanzialmente riassumendo con poche parole"non sono sereno, non mi sento, come giovane, rappresentato da un simbolo che oggi è solo rappresentativo del consumismo e del conformismo, perciò mando un messaggio chiaro del mio dissenso, non dando valore a qualcosa che valore non ha"!. E ci sarebbe tanto altro da aggiungere. Ma Cristian Grosso è stato molto chiaro. Grazie