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Fare sistema o consolidare privilegi? Riflessioni sulla presenza della Sardegna al Salone del Libro di Torino


Punto e a capo

Perché si partecipa alle fiere dei libri?
Per farsi vedere, certo. Ma anche per rappresentare qualcosa.
Nel caso della Regione Sardegna, si partecipa per mostrare la ricchezza e la varietà della produzione libraria dell’isola. Un’isola in cui si legge ancora tanto, e in cui esiste una filiera del libro attiva e vivace.
Alle fiere come quella di Torino si va per raccontare, attraverso i libri, un sistema culturale vivo, articolato, complesso. Un sistema, appunto.
Ma è davvero così?
Se lo è – e vogliamo che lo sia – allora la logica dovrebbe essere una sola: promuovere tutti gli editori che decidono di partecipare, che inviano le proprie opere, che presentano i propri libri con autrici e autori in prima persona, e che credono in questa occasione come momento di visibilità.
Ma al Salone non si va solo per fare vetrina: i libri si vendono.
E si vendono quando sono messi in relazione con altri libri, quando vengono valorizzati da scelte espositive consapevoli e da una programmazione capace di rendere tutti realmente protagonisti di quell’evento.
Promuovere un mondo tanto variegato e vendere libri, oggi, non è un’operazione automatica. Serve competenza: saperli organizzare, riconoscere affinità e percorsi comuni, proporli a chi li cerca, o anche solo mostrare che quel sistema editoriale vivo esiste davvero.
È un lavoro che richiede conoscenze, aggiornamento, capacità di relazione.
Prima che commerciale, è un lavoro culturale.
Non è un lavoro di burocrazia, né solo di rappresentanza. È culturale, nel senso pieno del termine: chi gestisce uno spazio pubblico, finanziato con denaro pubblico, ha il dovere di costruire un sistema che consenta a tutti i partecipanti di essere protagonisti di quello spazio e di quella manifestazione.
E quando questo non succede, non è mai un caso.
Esporre i libri in un contesto di scatoloni e cataloghi richiede strategia. Significa dare coerenza alla pluralità di marchi e titoli presenti, farli diventare davvero sistema.
Una buona esposizione è frutto di visione, preparazione, responsabilità. E di un impegno reale.
Questo vuol dire fare sistema.
Ma quando si favorisce un editore solo per la sua dimensione economica, o perché appartiene a un particolare circuito che rivendica il ruolo di interlocutore privilegiato con le istituzioni, si rischia di rompere quel sistema. 
E di rappresentare, al massimo, solo alcuni.
Un sottosistema che vive e si autoalimenta grazie a rendite di posizione.
Se chi gestisce spazi pubblici dichiara di rappresentare tutta l’editoria sarda, ma poi applica criteri che avvantaggiano pochi e penalizzano altri, non si sta costruendo un sistema.
Si sta imponendo una gerarchia.
Si decide chi valorizzare e chi no.
E questo non può essere considerato normale.
Gli spazi pubblici devono raccontare la pluralità, non rafforzare posizioni di privilegio.
Se parliamo di sistema culturale, dobbiamo realmente costruirlo insieme, non limitarci a invocarlo nei titoli dei progetti o nei comunicati ufficiali.
Questa è una riflessione sui limiti di quest’edizione del Salone del Libro di Torino – che, pur essendo importante, non è l’unico evento a cui l’editoria sarda prende parte.
Ed è proprio per questo che vale la pena aprire un confronto su come si partecipa a questi eventi.
E farlo, davvero, nel rispetto e nell
’interesse di tutti. 

(Giovanni Fara)

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