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Intervista a Salvatore Palita


Salvatore Palita è un graphic designer sassarese con varie esperienze nel campo della progettazione architettonica, dell’arredamento, della grafica e della pubblicità. Da oltre trent’anni allestisce mostre personali di grafica pittorica e partecipa a Concorsi d’Arte in Sardegna e in Italia. Dall’85 porta avanti la sua ricerca nell’ambito della Narrative Art: “L’immagine fotografica viene manipolata e si fonde con la narrazione, il segno e il colore, creando un racconto visivo nel quale si possono scoprire altre storie, nuovi significati”.

Ci racconti brevemente il tuo percorso professionale?
Presa coscienza fin dagli anni giovanili della mia principale abilità espressiva: il disegno, posso dire che i miei studi e il mio lavoro sono stati un percorso quasi “obbligato”.
Dopo la Maturità in Arte Applicata conseguita presso l’Istituto Statale d’Arte di Sassari, ho studiato Architettura a Firenze, dove è stato fondamentale per la mia formazione il corso di Design del prof. Natalini, fondatore dell’avanguardia architettonica italiana degli anni ’70.
Dopo varie esperienze in diversi ambiti progettuali, nel 1984, superate le prove d’ammissione all’Associazione Italiana Professionisti Pubblicitari, ho fondato il mio studio di Grafica, Pubblicità e illustrazione, aggiornando costantemente le mie competenze tecniche e vivendo la rivoluzione tecnologica del Desktop Publishing che modificò radicalmente il lavoro del graphic design con l’avvento di tavolette grafiche e software sempre più avanzato per produrre illustrazione, ritocco fotografico, trattamento dei caratteri e impaginazione.
Dalla fine degli anni settanta, nelle mie opere utilizzo fotografie, disegni, collage e testi, ispirandomi al movimento concettuale della “Narrative Art” e al dualismo narrativo rappresentato dalle immagini e dalla scrittura. Ho allestito numerose mostre personali di grafica pittorica e ho partecipato a Concorsi d’Arte regionali, italiani e internazionali. Molte mie opere fanno parte di collezioni private e delle Collezioni del Comune di Sassari e del Banco di Sardegna. 


Qual è il rapporto che lega l’immagine alla scrittura nel tuo percorso artistico?
Ho amato da sempre la lettura, la scrittura e il disegno che sono il “carburante” necessario ad alimentare la mia creatività. Ho letto ogni genere letterario, classici, fantascienza, saggistica professionale, politica e graphic novels. Un esempio di questa cifra espressiva è stata la mostra del 2013 “Le Città Invisibili” ispirata dal libro omonimo di Italo Calvino uno dei miei scrittori preferiti. 
A proposito della mia passione per la scrittura, nel 1997, la scrittrice Dacia Maraini sceglie il mio racconto “Pro.me.te.o.” e mi invita, per parlarne, alla sua trasmissione letteraria “Io scrivo, tu scrivi” in onda su Rai 2. In quella puntata io e Roberto Pazzi, fummo sollecitati dalla Maraini a discutere sul tema della Memoria perduta (tema del mio racconto). L’incontro, e soprattutto l’apprezzamento del mio lavoro da parte della Maraini, è stata un’ esperienza importante che mi ha portato a scrivere un romanzo, vari racconti e numerose poesie che spesso ho utilizzato nella mia produzione pittorica che nasce sempre da uno spunto letterario.
Per sintetizzare il mio percorso artistico potrei dire che: “Ogni mia opera è la pagina di un libro. Le opere di una mostra sono un capitolo del libro... La fine del libro sarà la fine della mia vita... Per chi resterà non sarà facile mettere ordine fra le pagine e i capitoli, perché ogni giorno mi piace mutare la trama del libro.”


Tra le tante esperienze maturate in ambito editoriale c’è quella con la Catartica Edizioni, con la quale hai collaborato per la realizzazione del logo aziendale e della linea grafica di alcune tra le principali collane della casa editrice. Come nasce la copertina di un libro?
L’esperienza creativa che mi è stata offerta dalla Catartica Edizioni è la più intensa e gratificante che ho al momento. Avevo già creato copertine per altri editori e per alcuni scrittori, ma non mi era ancora capitata un’esperienza così completa e interessante come quella che sto portando avanti con la Catartica; per questo ringrazio i lungimiranti ideatori di questa bella e coraggiosa iniziativa imprenditoriale e culturale nata a Sassari. Rispondendo alla domanda “come nasce la copertina di un libro?”, la copertina è il primo elemento che colpisce un lettore e per questa ragione deve essere considerata uno dei primi strumenti per la promozione del libro. Se è vero che un libro non dovrebbe mai essere giudicato (solo) dalla copertina, è anche vero che nel mercato editoriale, dove si affacciano sempre nuove proposte, il colpo d’occhio iniziale della copertina può fare la differenza: attrarre un lettore oppure lasciarlo indifferente. Tenendo quindi ben presente che la scelta di un libro è condizionata dai colori, dai caratteri del titolo e dall’immagine, progettando una copertina cerco di crearla tenendo presenti quattro elementi fondamentali: la semplicità intesa come riconoscibilità e identificabilità; la leggibilità nel senso che l’immagine non deve rendere confuso il titolo, il nome dell’autore e della casa editrice; l’emozione, che deve suscitare una reazione da parte de lettore; la coerenza col genere letterario attraverso la scelta di immagini, colori e font adeguati.

I tuoi lavori sono carichi di contenuti sociali e politici. Quanto ha influito il legame con la tua terra e la cultura sarda nella tua produzione artistica?
Dopo una prima fase di ricerca artistica focalizzata sul valore della memoria che conteneva anche elementi visivi della cultura sarda, ho cominciato a ragionare sulla comunicazione visiva in Sardegna scrivendo un articolo “Grafica e Comunicazione Visiva in Sardegna”, pubblicato sulla rivista internazionale di teoria, storia e metodologia “GRAFICA”, (anno VII nr. 10/11 dicembre 1990-luglio 1991). Da questo momento di ricerca e analisi ho sempre cercato di comunicare nella mia produzione artistica la cultura, la storia e la lingua della mia terra, in varie forme simboliche e politiche. Non so se finora sono riuscito a farlo bene, ma è una domanda dalla quale non posso prescindere e che mi pongo ogni volta che progetto una mostra o un lavoro creativo; una domanda alla quale non posso più sottrarmi e alla quale cerco di dare una risposta coerente con le mie idee politiche di liberazione e autodeterminazione della Sardegna.

Pensi che in Sardegna oggi la cultura possa offrire dei reali sbocchi lavorativi e sia tenuta nella giusta considerazione a livello politico e istituzionale? Cosa suggerisci a chi vuole lavorare e realizzarsi professionalmente nel mondo dell’arte?
Sono due domande alle quali è difficile rispondere in modo esauriente. Sono convinto che in Sardegna la cultura potrebbe offrire numerosi e prolifici sbocchi lavorativi, e ciò accadrebbe se la politica istituzionale la tenesse nella giusta considerazione. Ma non è così. È necessario rilanciare gli investimenti, focalizzare gli interventi e attuare le normative esistenti, che sono buone ma sono rimaste lettera morta per tanti aspetti, penso in particolare alle legge regionale 14 del 2006, quella che regola gli interventi in materia di beni culturali, istituti e luoghi della cultura, inattuata da una classe politica insipiente soprattutto nella parte della programmazione, il piano triennale non è mai stato realizzato. Non ho suggerimenti per coloro che vogliono realizzarsi nel mondo dell’arte, posso solo dire che le difficoltà che si incontrano sono devastanti, io al momento sto lavorando più per committenti del “continente” o europei che per commesse che provengono dalla Sardegna. Questo è un grave problema per la soluzione del quale non vedo al momento incoraggianti prospettive.

Un tuo suggerimento di lettura?
Ne avrei molti, ma invito soprattutto a leggere gli autori sardi in generale, in ogni ambito della produzione letteraria, romanzi, saggi storici, politici e poesia; dico questo perché gli autori sardi sono troppo spesso oscurati dai canali ufficiali e sono convinto che questo sia un danno devastante che si traduce in una scarsa o nulla conoscenza della cultura Sarda. Un immenso gap culturale che, se colmato, potrebbe essere decisivo per eliminare la condizione di marginalità in cui la Sardegna è stata relegata dall’ottusità della classe dirigente e dallo stato italiano, che anche in questo campo ha esercitato il suo “colonialismo culturale”. È quindi necessario che si crei, con ogni mezzo e in tutti gli ambiti culturali, un progetto ampio e virtuoso, per diffondere la coscienza che i sardi sono depositari di una immensa ricchezza storica, culturale e linguistica che può tradursi in valore e crescita economica.

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