“Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione”. Recensione del libro “Le vene, l’anima. Il sangue, l’anarchia”
Emma Goldman parla a una folla di operai tessili sul controllo delle nascite a Union Square, New York, il 20 maggio 1916. |
di Antonio Lombardo
“La libertà non deve essere difesa, deve essere vissuta e udita, senza paura, senza difesa, perché quella da noi bramata è priva di instabilità, priva di consenso, priva della eventuale negazione di essa. Non soffermiamoci durante il camminare o rimarremmo sospesi in un sol piede. La democrazia può essere un passo, per i paesi non democratici. L’anarchia può essere il fine, per l’umanità tutta” – Cristian Augusto Grosso “Le Vene, l’Anima, il Sangue, l’Anarchia” – Catartica Edizioni, Collana I Diari della Motocicletta, Sassari nov. 2020. Pag. 85.
Cristian, classe
2002, di Alghero, isola catalana nell’isola grande, mi si para davanti serio e
senza parlare, si ha la sensazione di pensieri vissuti dentro e non da ora e
non per la produzione di un libro. Se dall’età di 15 anni aveva iniziato a
scrivere di anarchia è perché prima aveva già amato, amato la musica, la
poesia, la natura e il fermarsi a respirare. Il libro è ricco delle sue letture,
tante, da Kropotkin a Thoreau, da Durruti a Bakunin, e di esempi di una
anarchia come laboratorio possibile ed esistito nella storia, ma che deve
partire dalla responsabilità individuale e dal sentire collettivo, sociale.
È Malatesta. Lo cita
esplicitamente quando parla del graduale volversi del programma anarchico. Il
gradualismo malatestiano non ha nulla del riformismo perché ritiene non
compatibile l’attuale stato di cose e non cambiabile nella forma, man mano che
prendiamo coscienza e creiamo laboratori e spazi di libertà essi vanno
consolidati col federalismo, solo allora si pone il problema della difesa dall’attacco
del potere. Cristian parla esplicitamente della Nonviolenza come essenza dell’Anarchia
e l’Anarchia è di per sé Nonviolenza, poiché deve avere già nei mezzi e negli
obiettivi, anche parziali, la coerenza del fine sociale.
Ci ricorda il pensiero
di Emma Goldman “Se non posso ballare, non è la mia rivoluzione” o il pensiero
di Louis Lecoin fondatore de l’Union Pacifiste: “Se mi si provasse che, facendo
la guerra, il mio ideale avrà possibilità di realizzarsi egualmente direi no
alla guerra. Non si costruisce l’ideale umano su un mucchio di cadaveri”.
C’è una cosa da
chiarire subito e che in effetti emerge fin dalle prime righe del libro: non c’è
alcuna sensazione di ingenuità. Lo scritto, diviso per argomenti in poche
pagine per volta come nel Profeta di Gibran, è scorrevole, ricco di riferimenti
ad autori che noi, testardi militanti, conosciamo bene. Ed è incorniciato nelle
poesie di Cristian, quelle che aveva scritto da ragazzo, ancora tutte da
pubblicare, con una profondità leopardiana che raccomando di leggere.
In questa terra dove parole come libertà, natura, comunità, sanno ancora oggi di antichi dignitosi codici, la rosa di Cristian nasce volentieri con forti radici e piacevoli profumi di primavera.
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