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Altri traguardi. Intervista a Omar Onnis

Foto di Dietrich Steinmetz

Omar Onnis
, nuorese trapiantato a Trento, studi politici, giuridici e soprattutto storici alle spalle, scrive saggistica e narrativa. Una lunga militanza indipendentista alle spalle e una conoscenza approfondita della politica sarda. È tra i protagonisti della campagna elettorale di Sardegna Possibile nel 2014. A febbraio dello scorso anno pubblica con Catartica Edizioni “Altri traguardi. Premesse, cronaca e analisi della campagna politica di Sardegna Possibile 2014”.

1) A febbraio 2022 esce per catartica il tuo libro “Altri traguardi”, una sorta di memoriale dell’esperienza elettorale di Sardigna Possibile 2014. I tempi di uscita del libro suggeriscono che dietro vi fosse l’intenzione di ravvivare un dibattito politico che in ambito indipendentista pare essere piuttosto stagnante. Che tipo di riscontri hai ottenuto all’interno di quell’area politica e perché hai ritenuto importante rievocare il percorso di quell’esperienza elettorale?

Non ho ricevuto particolari riscontri dall’ambito indipendentista, a parte rarissime eccezioni (tipo Caminera Noa o qualche discussione in privato). Soprattutto da quello organizzato c’è stata piuttosto una sorta di “congiura del silenzio”. Niente di organizzato, sia chiaro, nessun complotto. Semplicemente è scattata la consueta modalità di rimozione di qualsiasi possibilità di dibattito. Non è un problema mio o di questo libro in particolare, è una debolezza strutturale dell’indipendentismo. Pochissima abitudine al confronto, sia pubblico sia tra organizzazioni. Qualcosa è emerso nel corso delle presentazioni, ma sempre a titolo di confronto personale. Il libro non è uno scrigno di verità indubitabili, ma principalmente una fonte di domande e di questioni aperte. O almeno voleva esserlo. Questo era l’intento di partenza. Non mi interessava gratificare me stesso e le altre persone coinvolte con un racconto agiografico ed edulcorato di un’esperienza comune. Mi importava invece ricostruire un momento che per forza e per questioni sollevate rimane un punto nodale della nostra storia politica recente. Se non mi aspettavo alcuna apertura di credito da parte delle forze politiche italiane e della loro intellettualità organica (compresa quella che ha spazio sui mass media), mi sarebbe invece piaciuto che almeno in ambito indipendentista, sardista, ambientalista si potesse discutere, anche nel dissenso, dei temi posti. Al di là del fatto che il libro possa essere piaciuto o meno, che è l’aspetto meno rilevante.

2) Pensi che il libro possa in qualche modo offrire degli spunti per provare a proporre il rilancio di una proposta politica sardocentrica alternativa al duopolio italianista? In tale ottica cosa sarebbe utile conservare dell’esperienza del 2014?

Se non avessi pensato che potesse essere utile (anche) in quel senso, non l’avrei scritto. Di base, sentivo il bisogno – avendo ricevuto molte sollecitazioni in tal senso – di ricostruire quel percorso e dare conto anche di alcune vicende dell’ambito indipendentista degli anni scorsi. Abbiamo troppo poca documentazione e una scarsissima memoria sulle vicende dell’indipendentismo e dell’autodeterminazionismo sardo. Così come non disponiamo di alcuno studio serio sui movimenti popolari e le lotte sociali nella Sardegna contemporanea (è una grande storia tutta da scrivere, in effetti). Non è un bene. Ma certamente, quando si ricostruiscono vicende politiche, esiste sempre una proiezione sul presente e sull’immediato futuro. Mi pare che le domande che possiamo fare oggi, a dieci anni di distanza, a quel percorso siano forse più importanti di quelle che avremmo potuto fare nella sua immediatezza. Credo che di quell’esperienza sarebbe utile recuperare un certo impianto teorico e strategico e anche le modalità di azione. E forse, prima ancora, la consapevolezza e la serietà con cui fu affrontata. In proposito, mi vengono sempre in mente i versi di Paolo Conte: “Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti”. Ecco, se c’è una cosa che andrebbe recuperata è proprio questa attitudine a prendere molto sul serio quello che si fa, in tutti i suoi risvolti, fino in fondo.


3) Cosa invece non ha funzionato nel 2014? Puoi in breve spiegare ai nostri lettori cosa ha tenuto fuori dalla rappresentanza democratica circa 70mila preferenza conquistate all’epoca da Sardegna Possibile?


Penso di poter rispondere in modo chiaro e brutale. Non ha funzionato che non avevamo tutti i soldi necessari a realizzare il piano così com’era stato concepito. Non ha funzionato – per noi – che il centrosinistra, dato per spacciato, tirando fuori dal cilindro l’insipida ma rassicurante candidatura Pigliaru e cooptando una parte di indipendentismo disponibile al giochetto, abbia trovato la chiave per recuperare il consenso che stavamo drenando a nostro favore. E non ha funzionato che la legge elettorale, concepita a questo scopo alla vigilia delle elezioni, dal punto di vista degli avversari abbia invece funzionato egregiamente. Sulla legge elettorale c’era poco da fare: eravamo in ballo e dovevamo ballare sulla musica che gli altri avevano deciso. Su altri aspetti, credo che fosse difficile agire diversamente da come abbiamo agito. Quello che mi ha sempre rammaricato e mi dà da pensare ancora oggi, è l’incomprensione maturata all’interno di ProgReS, il partito indipendentista che promosse quel progetto, e la nostra incapacità di fare tesoro dell’esperienza per rilanciarla. Devo dire che ci fu chi lavorò alla sua chiusura e alla sua rimozione. Il risultato fu ottenuto. Con quali guadagni per la “causa”, è sotto gli occhi di tutti.

4) Le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale in Sardegna si svolgeranno fra poco più di un anno. Pensi sia realistica l’ipotesi di dar vita a una formazione politica in grado di raccogliere il patrimonio di lotte e gli entusiasmi andati dispersi nel corso degli ultimi dieci anni in ambito indipendentista e autodeterminazionista?

Più che un’ipotesi realistica a mio avviso è una stringente necessità. Che poi ci sia chi è in grado di realizzarla è un altro paio di maniche. Ma certamente quello spazio politico deve essere rivitalizzato e riproposto anche elettoralmente. Perché dentro il meccanismo della democrazia rappresentativa, per quanto poco ci piaccia, se non partecipi alla contesa elettorale non esisti. Ci sarebbe da chiedersi a cosa stiano pensando le organizzazioni indipendentiste, al momento. Oggi come oggi non sono in grado nemmeno di fare mera testimonianza. Credo che sarebbe necessario un grande sforzo di generosità e di condivisione, per superare le sigle attuali e trovare una nuova formula organizzativa, di tipo confederale, che possa operare sul territorio in modo efficace e addensare quando serve una proposta elettorale. Non necessariamente solipsistica. Ormai il panorama politico è disarticolato, non solo nell’ambito indipendentista. Ci sono forze giovani che faticano a riconoscersi dentro le categorie politiche del passato, ma sono dotate di grande energia democratica, voglia di partecipare e una prospettiva per il futuro più emancipata (e dunque più emancipativa) di quanto proponga oggi l’indipendentismo organizzato. In ogni caso, va rilanciata la prospettiva dell’autodeterminazione, senza preclusioni settarie e senza fissazioni dogmatiche. La priorità deve essere la conquista storica di una democrazia reale e compiuta, in Sardegna. Questo obiettivo condurrà inevitabilmente allo scontro – e, con ogni verosimiglianza, al conflitto – con lo Stato italiano. Bisognerà arrivarci preparati, con un personale politico adeguatamente formato e le idee chiare su cosa serve e su come realizzarlo.

5) Michela Murgia fu la candidata per Sardegna Possibile alla presidenza della Regione Sardegna nel 2014. Nella stesura del memoriale ti sei confrontato con lei o con altri dei protagonisti della coalizione? Sei stato incoraggiato in questo progetto o piuttosto sconsigliato?


Ne ho parlato con Michela, ovviamente, ma non ci siamo confrontati sui contenuti, non in modo sistematico e puntuale. Non ce n’era grande bisogno, in fondo. Con altri protagonisti di quella vicenda ho avuto un’interlocuzione più serrata, per confrontare le varie versioni dei nostri ricordi su questo o quel passaggio, recuperare elementi di riscontro e documentazione o anche solo avere un feedback nel corso della stesura.
Questo libro non sarebbe esistito, se non fossi stato spinto a scriverlo, con una certa insistenza, da diverse persone, sia tra chi partecipò a quel percorso sia tra chi lo visse dall’esterno. Non avevo voglia di tornarci su, se devo essere sincero. Ma alla fine ha prevalso la necessità di preservare i contenuti e il senso di un’esperienza che, a dispetto di chi la detestò o la temette e preferirebbe cancellarla, rimane una pagina estremamente significativa della storia politica sarda recente.

6) Stai lavorando a un nuovo libro? Ce ne vuoi parlare?

Sto lavorando a diverse cose. Lavoro sempre molto, tra una cosa e l’altra. È un mestiere che richiede una pratica costante. Anzi, a dirla tutta, in questo periodo sono alquanto sotto pressione. Ho da poco ultimato un romanzo per ragazzə, ma l’ho chiuso in un cassetto (virtuale), in attesa di trovargli una destinazione (cosa a cui dovrei pensare con più solerzia, ma tant’è), e sto completando la stesura di due volumi per due collane diverse, di taglio divulgativo, su due momenti drammatici della storia contemporanea sarda. Ma non mi piace parlare di quello a cui lavoro, mentre ci sto lavorando. Non so se sia scaramanzia, non credo. In ogni caso, quando il lavoro si tradurrà in qualcosa di pubblicato, lo saprete.


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