Juliovernia Social: Tra le Pagine di “Romanina” (Estratto e Recensione)
Estratto
«Si allinearono lungo una fila di pini marittimi, Saverio al centro con il fucile d’assalto, Zu Ninu più avanti, con il suo calibro dodici caricato a pallettoni come quello di Santo che era più indietro. Il ragazzo avrebbe dovuto lasciar passare l’auto e sarebbe dovuto intervenire solamente se avesse fatto retromarcia.
L’erba lungo la strada era cresciuta alta tra i cespugli di euforbia e lentisco, e odorava dell’aerosol marino che in quei giorni di burrasca il vento aveva portato ben dentro la costa; Santo per nascondersi al meglio si era sdraiato dietro una ginestra spinosa.
Alle sei cominciò a non sentire le gambe, la terra intrisa di rugiada gli aveva bagnato i pantaloni e i gomiti del maglione sui quali era poggiato.
Alle sei e dodici si accesero le luci nella casa.
Alle sei e mezza i primi raggi di sole dispersero la foschia che copriva il prato.
Alle sette e dieci l’Arna avorio entrò nella stradina.
Correva.
Cento metri, cinquanta, dieci, gli passò davanti velocissima, Santo si preparò sul margine della strada.
Saverio iniziò a sparare appena l’auto superò la prima postazione.
L’uomo vide il parabrezza esplodere davanti a lui e il montante destro che lo sosteneva piegarsi e contorcersi come fosse vivo. Capì immediatamente dopo il colpo che gli torse il volto: un proiettile gli aveva strappato il naso e una parte del labbro superiore. ‒ Cazzo, cazzo ‒ urlò sputando schiuma rossastra, inserì la retromarcia prima ancora di fermare l’auto.
Accelerò al massimo.
Le ruote riuscirono a girare al contrario proiettando due scie di terra fangosa davanti a loro.
Poi iniziò a retrocedere.
Sentiva i colpi risuonare sulla lamiera intorno a lui come grandine, fu colpito all’addome, un’altra volta di striscio sulla spalla.
Ogni esplosione sembrava fissare l’immagine sulla retina e i suoi occhi la registravano come una sequenza di istantanee: vedeva fermi nell’aria frammenti di cruscotto, d’imbottitura dei sedili, di cristalli.
Decine di volte in posizioni diverse, una per ogni pallottola che batteva la lamiera.
Strinse il volante, il sangue arterioso che spruzzava intermittente dal volto lo aveva reso scivoloso.
Retrocedendo sollevò lo sguardo davanti a lui, gli attentatori erano al centro della strada e gli puntavano le armi senza sparare.
Pensò che avevano finito le munizioni.
Per evitare che il sangue continuasse a bagnare il volante, con una mano ricollocò il naso, rimasto attaccato con un lembo di pelle tra gli occhi. ‒ Ce la faccio, ce la faccio ‒ si ripeteva pensando al vicino ospedale ‒ non sarò il primo né l’ultimo a sopravvivere a un attentato.
Controllò alle sue spalle e capì perché avevano smesso di sparargli: dietro di lui, al centro della strada, un giovane lo attendeva con un fucile puntato.»
Recensione
In queste poche righe Massimiliano Avesani ci fa vivere sulla pelle il brivido di un dramma che si sta per compiere. L’uomo alla guida si ritrova gravemente ferito, il suo naso, viene quasi spazzato via da un colpo di proiettile e il sangue arterioso spruzza intermittente sul volante, rendendolo scivoloso. Questo rende la scena viva e ancor più viva la rende l’adrenalina e la lucidità con cui l’uomo reagisce. Non sembra nemmeno provare dolore perché in quel momento l’unico obiettivo è vivere e sottrarsi a ciò che sembra inevitabile: un destino segnato. L’uomo viene colpito ancora, prima all’addome e poi a una spalla ma non si arrende. La sua mente cerca una via di fuga con speranza e determinazione. È la vita davanti alla morte che l’ha inchiodata contro un muro: non c’è via di scampo. Avesani riesce a risucchiarci dentro l’azione e nel mentre il nostro pensiero è attraversato dal terrore, dal rifiuto di una realtà inaccettabile, cruenta, improvvisa e dalla speranza di uscirne in qualche modo. Siamo completamente insieme all’uomo colpito, quasi dentro di lui. Vogliamo salvarci, vogliamo uscire da quella situazione mortale ad ogni costo. A me è venuto da pensare che in certe situazioni probabilmente non si pensa ad uscirne nel migliore dei modi ma semplicemente ad uscirne. Cioè, il pensiero assoluto è sopravvivere, anche se in condizioni che non sono nemmeno contemplate in quel momento. Non importa niente, in quel momento c’è solo da riportare a casa la pelle. È incredibile la quantità di pensieri che scaturiscono da questa lettura. Io mi sono chiesta se sarei stata in grado di reagire. Come mi sarei comportata? Quali pensieri davanti alla morte imminente? Cosa si prova a guardare in faccia la morte?
L’erba lungo la strada era cresciuta alta tra i cespugli di euforbia e lentisco, e odorava dell’aerosol marino che in quei giorni di burrasca il vento aveva portato ben dentro la costa; Santo per nascondersi al meglio si era sdraiato dietro una ginestra spinosa.
Alle sei cominciò a non sentire le gambe, la terra intrisa di rugiada gli aveva bagnato i pantaloni e i gomiti del maglione sui quali era poggiato.
Alle sei e dodici si accesero le luci nella casa.
Alle sei e mezza i primi raggi di sole dispersero la foschia che copriva il prato.
Alle sette e dieci l’Arna avorio entrò nella stradina.
Correva.
Cento metri, cinquanta, dieci, gli passò davanti velocissima, Santo si preparò sul margine della strada.
Saverio iniziò a sparare appena l’auto superò la prima postazione.
L’uomo vide il parabrezza esplodere davanti a lui e il montante destro che lo sosteneva piegarsi e contorcersi come fosse vivo. Capì immediatamente dopo il colpo che gli torse il volto: un proiettile gli aveva strappato il naso e una parte del labbro superiore. ‒ Cazzo, cazzo ‒ urlò sputando schiuma rossastra, inserì la retromarcia prima ancora di fermare l’auto.
Accelerò al massimo.
Le ruote riuscirono a girare al contrario proiettando due scie di terra fangosa davanti a loro.
Poi iniziò a retrocedere.
Sentiva i colpi risuonare sulla lamiera intorno a lui come grandine, fu colpito all’addome, un’altra volta di striscio sulla spalla.
Ogni esplosione sembrava fissare l’immagine sulla retina e i suoi occhi la registravano come una sequenza di istantanee: vedeva fermi nell’aria frammenti di cruscotto, d’imbottitura dei sedili, di cristalli.
Decine di volte in posizioni diverse, una per ogni pallottola che batteva la lamiera.
Strinse il volante, il sangue arterioso che spruzzava intermittente dal volto lo aveva reso scivoloso.
Retrocedendo sollevò lo sguardo davanti a lui, gli attentatori erano al centro della strada e gli puntavano le armi senza sparare.
Pensò che avevano finito le munizioni.
Per evitare che il sangue continuasse a bagnare il volante, con una mano ricollocò il naso, rimasto attaccato con un lembo di pelle tra gli occhi. ‒ Ce la faccio, ce la faccio ‒ si ripeteva pensando al vicino ospedale ‒ non sarò il primo né l’ultimo a sopravvivere a un attentato.
Controllò alle sue spalle e capì perché avevano smesso di sparargli: dietro di lui, al centro della strada, un giovane lo attendeva con un fucile puntato.»
Recensione
In queste poche righe Massimiliano Avesani ci fa vivere sulla pelle il brivido di un dramma che si sta per compiere. L’uomo alla guida si ritrova gravemente ferito, il suo naso, viene quasi spazzato via da un colpo di proiettile e il sangue arterioso spruzza intermittente sul volante, rendendolo scivoloso. Questo rende la scena viva e ancor più viva la rende l’adrenalina e la lucidità con cui l’uomo reagisce. Non sembra nemmeno provare dolore perché in quel momento l’unico obiettivo è vivere e sottrarsi a ciò che sembra inevitabile: un destino segnato. L’uomo viene colpito ancora, prima all’addome e poi a una spalla ma non si arrende. La sua mente cerca una via di fuga con speranza e determinazione. È la vita davanti alla morte che l’ha inchiodata contro un muro: non c’è via di scampo. Avesani riesce a risucchiarci dentro l’azione e nel mentre il nostro pensiero è attraversato dal terrore, dal rifiuto di una realtà inaccettabile, cruenta, improvvisa e dalla speranza di uscirne in qualche modo. Siamo completamente insieme all’uomo colpito, quasi dentro di lui. Vogliamo salvarci, vogliamo uscire da quella situazione mortale ad ogni costo. A me è venuto da pensare che in certe situazioni probabilmente non si pensa ad uscirne nel migliore dei modi ma semplicemente ad uscirne. Cioè, il pensiero assoluto è sopravvivere, anche se in condizioni che non sono nemmeno contemplate in quel momento. Non importa niente, in quel momento c’è solo da riportare a casa la pelle. È incredibile la quantità di pensieri che scaturiscono da questa lettura. Io mi sono chiesta se sarei stata in grado di reagire. Come mi sarei comportata? Quali pensieri davanti alla morte imminente? Cosa si prova a guardare in faccia la morte?
(Michela Magliona)
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