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Juliovernia social: Una favola per adulti contro la discriminazione dei bambini





Benvenuti su Juliovernia Social! In questa terza puntata ci addentreremo nelle pagine del romanzo desordio di Michela Maglio, La teoria della mela di Michela Magliona (Catartica Edizioni).
Marco Demurtas ci parlerà del messaggio contenuto tra le pagine di un libro che offre una prospettiva intensa sulla scoperta di sé stessi, raccontando le sfide della crescita dei suoi giovani protagonisti."

Estratto
«Domani non vengo
Esci di nuovo con i tuoi amici?
Sì non ci vediamo dall’estate e tra poco è Natale
Beato te
Vuoi venire? Te li faccio conoscere

Elisa è percorsa da un brivido di eccitazione. Lui aspetta pazientemente una risposta con un sorriso tentatore sul viso. Ultimamente quel lampo appare spesso nei suoi occhi e a Elisa piace perché la trascina nel mondo dell’impossibile che si trasforma in possibile. Soprattutto dopo la pallonata a Natalia.
Te la firmo io la giustificazione
Lo so, ma se mi beccano mi uccidono
Non ci beccano ma se ci beccano moriremo insieme di una morte lenta e dolorosa però ci divertiremo
Per tutto il resto dell’ora Elisa non riesce a pensare ad altro. Muore dalla voglia di commettere un atto di ribellione e vorrebbe avere sufficiente coraggio per decidersi. La farebbe sentire bene per una volta trasgredire al volere dei genitori perché lei ha paura e non rischia mai. Suo padre non le perdonerebbe mai una bravata simile, specie se dovesse commetterla insieme a Marco.
Non lo chiamano nemmeno per nome. Lo chiamano “quel tuo compagno”. Il giorno dell’Immacolata è venuto fuori l’argomento con gli zii a pranzo. C’è stata una lunga discussione sul disagio sociale e tutti si sono dichiarati tolleranti e favorevoli all’integrazione in ambienti sani di persone meno fortunate come “quel compagno”. È fondamentale farle uscire dal giro di squallore e miseria in cui sono nate, hanno dichiarato con convinzione, ma bisogna monitorare accuratamente simili progetti di rimonta sociale per evitare che siano loro a traviare i figli di gente perbene, capovolgendo drammaticamente l’efficacia dello scopo. Assicurarsi che non infettino l’ambiente diffondendo il loro malessere come un virus letale. Dopotutto “da cosa nasce cosa” e se anche sembra un luogo comune, corrisponde all’amara realtà dei fatti: una mela marcia in un cestino di frutta fresca...
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Recensione 

Il romanzo La teoria della mela di Michela Magliona possiede diversi pregi, molti dei quali si possono ritrovare anche in questo estratto. Innanzitutto la capacità ipnotica di trascinarci nei “mitici anni ’80” che per gli adolescenti di quei tempi, rappresentano ancora qualcosa di dolcemente nostalgico e quasi magico.

Il libro di Michela, infatti, ha il potere di far calare lo spettatore in un universo onirico, fatto di quei simboli che resteranno sempre nel nostro cuore. Gli anni ottanta, forse non furono un’epoca di grandissime opere d’arte ma i fenomeni pop divulgati da quella tv che avanzava fulminea, hanno comunque lasciato una traccia indelebile nella memoria di quegli oggi  quarantenni/cinquantenni che vengono chiamati (erroneamente) boomers.

La particolarità più importante del romanzo è tuttavia un’altra: il suo potere sociologico e la sua capacità di mostrare dietro una storia d’amore tra i banchi di scuola (cosa che anche una soap opera saprebbe fare) un mondo drammatico e sempre attuale che ci viene schiaffato in faccia, senza mezzi termini.

La metafora della mela marcia, molto cinica, che non credo sia neppure necessario spiegarvi, pone un focus sul problema della discriminazione, ancora tremendamente presente nella nostra quotidianità, soprattutto all’interno delle aule scolastiche.

I ceti sociali sono sempre esistiti: anche oggi c’è il bambino benestante e il bambino povero che fa parte di una famiglia di “Brutti sporchi e cattivi”, giusto per citare il capolavoro interpretato da Nino Manfredi, metafora assoluta sul tema dell’emarginazione che ovviamente vi invito a vedere.

Ma torniamo al libro di Magliona: Marco è un “diverso” perché veste in maniera trasandata, i suoi abiti non sono di certo griffati e soprattutto è figlio di un galeotto. Elisa è una bambina con gli occhiali, non ancora formata come donna e forse anche per questo, pure lei, si sente diversa.

Diventeranno amici, forse perché troveranno nella loro diversità un punto d’unione.

Nel frattempo però, sono proprio i genitori degli alunni della classe, quelli che dovrebbero capire il significato profondo di inclusione sociale e integrazione che stabiliranno le discriminazioni tra i vari bambini.

Nessuno lo ammetterà mai, perché si tratta di qualcosa di molto sottile.

Alcuni ostenteranno addirittura un finto desiderio di uguaglianza ma gli si storcerà il naso, quando vedranno giocare il proprio figlio con chi non appartiene a una “buona famiglia”.

Quand’ero piccolo i bambini “diversi” per ceto, dalle mie parti, venivano chiamati Monteleprini. Credo che il termine provenga da un paesino siciliano che era una sorta di bronx. Nel linguaggio comune divenne un modo per rendere bene l’idea, quando si dovevano etichettare le persone, attraverso un soprannome così azzeccato quanto crudele.

Non si tratta insomma di un’invenzione di Magliona ma di un fenomeno che c’è sempre stato, anche nella vita reale.

È fisiologico che i figli vengano plasmati dai genitori, imparando così ad essere giudicanti e a stigmatizzare i compagni “diversi”, perché, inconsciamente, importeranno la loro mentalità.

A tal proposito, mi vengono in mente gli studi e le riflessioni dello psicologo Piaget quando spiegava il concetto di “categorie cognitive”. Lo studioso le considerava qualcosa di indispensabile ma pericoloso: un modo per fare ordine nella nostra esperienza che spesso però ci porta ad assimilare gli schemi che ci vengono proposti.

Questo, specie quando si è piccoli e con una mente in evoluzione che non fa altro che registrare tutti gli stimoli che gli vengono offerti dall’ambiente.

“È un po’ come il flusso dell’acqua”, diceva Piaget “che prende la forma del recipiente quadrato o rotondo, a seconda dei casi. Le categorie che si formano nell’infanzia e nell’adolescenza ci permetteranno di descrivere il mondo, le esperienze, le relazioni, suddividendolo in categorie”.

Di qui l’importanza dei genitori nella formazione mentale dei propri figli.

E allora? C’è qualcosa che può arrestare tutto ciò? Per Michela Magliona sì.

L’amicizia e l’amore, quelli veri, possono realizzare un autentico miracolo!

I nostri protagonisti, Marco ed Elisa e la loro voglia di vita sono più forti di tutto e di tutti e non guardano certo i pregiudizi.

È là, in quella purezza che riscopriamo i valori, sani e incontaminati di un mondo nuovo che può cambiare, solo se proposto da dei bambini che sembrerebbero più saggi degli adulti.

E a proposito: è bello, dopo aver letto questo libro, augurarsi che i giovani d’oggi siano capaci di creare delle famiglie con veri valori!

Verso una vita che non è più castrante e finta, dove i pregiudizi vengono superati dai sentimenti.

La teoria della mela parla di socializzazione ed un è favola per adulti perché crede, auspica e sogna un mondo migliore.

E vissero felici e contenti?

Speriamo.


(Marco Demurtas)

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