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Claudia Desogus 3ª classificata al Festival Premio Letterario Emilio Lussu con il racconto "Mia Nonna"


Un nuovo importante riconoscimento all’autrice cagliaritana Claudia Desogus arriva dal “Festival Premio Letterario Emilio Lussu”, dove il suo racconto inedito, “Mia Nonna” si classifica al 3° posto nell’importante kermesse letteraria. Claudia in questa occasione ci sorprende con un testo umoristico, un omaggio alle nonne sarde e mediterranee, alla loro affettuosità, sollecitudine e melodrammaticità.
Claudia Desogus dimostra di essere una autrice di talento, sapendo conquistare il favore di pubblico e critica soprattutto per la sua capacità di sviluppare una scrittura originale partendo dalla tradizione sarda e dalle esperienze personali per trasformarle in una prosa elegante che si fa apprezzare a ogni età.
Tra i suoi lavori spicca il racconto “Fuga allo Zoo” incluso nel libro “Diario Virale”, una raccolta realizzata da quattro tra i principali autori della CatarticaEdizioni (C. Desogus, F. Raccis, T. Salis, M. Lepori) sul tema della pandemia. Libro che nasce nell’ambito di un progetto con cui la casa editrice sassarese ha voluto raccogliere le storie, le lettere, i racconti e le riflessioni nate dall’esperienza della quarantena. Progetto di cui Claudia è stata tra le principali ispiratrici, con l’intenzione di donare parte del ricavato delle vendite a sostegno di una delle strutture ospedaliere in prima linea nell’affrontare l’emergenza sanitaria in Sardegna.
Appena una settimana fa è invece arrivata finalista alla XIVª edizione del “PremioLetterario Nazionale Giovane Holden” con il suo libro d’esordio “Il viaggio incantato” (Catartica Edizioni, Collana Tene Tene, 2018).
Di seguito il racconto classificatosi al 3° posto nel “Festival Premio Letterario Emilio Lussu”, edizione 2020:
Tema: “Mia nonna”
Mia nonna è una cara persona ma un po’, come dire, originale.
Quando vado a trovarla è sempre molto felice ed entusiasta ed in genere ha previsto un’ottantina di portate per il pranzo. Mi chiede spesso se voglio una seconda porzione di quello che ha cucinato e, indipendentemente dalla mia risposta, mi riempie il piatto. E quando cado sulla sedia stravolta perché ho mangiato al di là dei limiti umani inizia a dirmi: “Ti senti male? Che cos’hai? Perché non mangi più?” poi si gira verso mia madre e le dice con tono di rimprovero: “Non trovi che sia pallida? Da quando è che non va dal medico? E le analisi del sangue le avete fatte?”.
Ha la tendenza ad essere un pochino ansiosa e manifesta una forte passione per il melodramma. Uno dei suoi passatempi preferiti consiste nello scorrere, durante il pomeriggio, tutti i necrologi sulla pagina dell’Unione sarda e di commentarli a voce alta “E questo chi è? Sarà un parente di Giovanna?”. Poi balza dalla sedia e dice “Oh no! È morto Franco Piras!” rivolgendosi a mio nonno con un’espressione shakespeariana. E quando mio nonno, stancamente, si degna di levare lo sguardo dalle sue letture eccelse per fare lo sforzo di chiedere chi diavolo sia Franco Piras, mia nonna si raddrizza sulla sedia e risponde con dignità “Ma è il marito della cugina della cognata di mia sorella, possibile che non te lo ricordi? È anche imparentato con i vicini di su, via la figlia che ha sposato uno dei cugini del…che venivano dal paese di…quella famiglia bene…” e inizia a districare alberi genealogici perduti nella notte dei tempi, dispiegando conoscenze araldiche di insospettata complessità.
La stessa passione che ha per i necrologi si applica agli ospedali e alle malattie. L’ho sentita spesso disquisire al telefono con mia zia dell’infezione broncopolmonare della vicina, parlando di tutti gli esami che dovrebbe fare, dalla tac, alla risonanza, all’esame istologico, rivelando raffinate competenze specialistiche che farebbero invidia ad un oncologo. “Angela, dovresti fare anche quel test allergologico e quando vieni per il pap-test? In quell’ospedale non capiscono niente, se ne fregano e ti mollano!”.
Bisogna controllarsi perché si sa, le disgrazie sono sempre dietro l’angolo e chissà cosa mai può crollarti addosso. L’ho sentita più volte condannare l’ignoranza dei medici e suggerire che cosa dovrebbero fare ai vari pazienti. Spesso è capace di citare studi e aggiornamenti che li lasciano basiti e li accusa dicendo che dovrebbero aggiornarsi di più.
Tuttavia i suoi aggiornamenti provengono principalmente dalla carta stampata perché internet la terrorizza, come tutta la tecnologia in generale.
Nonostante questo, mio nonno le ha comprato uno smartphone e ha messo mia nonna su Whatsapp. Lei dopo un po’ di disorientamento ha scoperto che questo le permette di controllare meglio figli, nipoti e parentado vario, anche grazie alle telecamere.
Chiama mia madre tutti i giorni e, se non risponde, la tempesta di messaggi “Dove sei, perché non rispondi, devo chiamare il consolato?” ecc.
E quando mia madre risponde, le chiede agitata “Ma perché tua sorella non risponde?”.
Insomma, mia nonna è una persona buona e che si preoccupa per gli altri, però passa una parte della sua vita ad angosciarsi e predire sventure.
Il giorno che caddi dalla bicicletta e tornai a casa col ginocchio sanguinante, voleva portarmi al pronto soccorso e, mentre mia madre mi medicava, lei si muoveva agitata per la casa, levando le mani al cielo e dicendo che se lo sentiva che quel giorno sarebbe accaduta una disgrazia, che aveva fatto un sogno, che i sogni che lei faceva dal giovedì al venerdì si avveravano sempre e che, anche se era sabato, era sicuramente quel sogno maledetto che le aveva portato sfortuna!
Poi si girava ad esaminare la mia gamba, come se volesse amputarla per eliminare il pericolo di setticemia.
Ha inoltre il dono di ravvivare a modo suo il lessico, usando espressioni inventate e cambiando le parole, così che quando parla, nonno e io ci guardiamo per capire che cavolo stia dicendo. Le parole nuove e straniere non le entrano molto facilmente in testa, soprattutto in ambito alimentare, e tende a chiamare, ad esempio, il sushi, “susi” e gli anacardi “anaconde”, così che non sempre è chiaro quello che stiamo mangiando (detto questo preciso che le pietanze esotiche raramente entrano a casa dei miei nonni in quanto le novità in campo alimentare sono considerate eresie).
Per fortuna, oltre alla passione per le sventure e le malattie, mia nonna ha anche altre passioni che mi ha trasmesso.
Le piace molto la botanica e mi ha sempre portato a fare delle passeggiate in cui mi insegnava a distinguere l’elicriso dall’assenzio e a raccogliere gli asparagi che dopo trasformava in risotti. Poi un giorno, mentre si arrampicava per raccogliere un asparago, si è rotta la gamba e ha continuato a dire “lo sapevo, lo sapevo” mentre la trasportavano nell’ambulanza.
Ha l’anima da scienziata (infatti ha insegnato chimica per tutta la vita) e mi ha spiegato più volte la composizione delle varie pietre, preziose o meno. Un giorno ha tirato fuori dai cassetti la sua collezione di gioielli, spiegandomi ogni pietra e ogni lega e nominandomi ufficialmente sua erede.
“Questa, Elisa” mi diceva mostrandomi una collana verde “è avventurina!”.
Era come essere davanti ad un tesoro orientale, improvvisamente rivelato. “Naturalmente lascerò tutto a te alla mia morte” e iniziava a perdersi nella scelta del cimitero più adatto dove far riposare le sue ossa “San Michele è proprio brutto, ma ho sentito che hanno riaperto Bonaria…” e di nuovo ricominciava col suo gioco preferito.
La sera, quando dormivo da lei ed ero piccola spesso si sedeva accanto al letto a raccontarmi le storie. Era nata poco prima della guerra e ricordava vagamente ancora il rifugio e le sirene e l’anno terribile della fame e dei bombardamenti, il ’43.
“Io a questi giovani d’oggi con lo smartphone gliela darei ‘napassara ‘e faminide su quarantatresi[1]!”.
Poi rideva e ricominciava con le storie della colonia estiva, delle divise azzurre e della pelle abbronzata dal sole di quegli anni belli.
E devo dire che la sua concezione del cosmo, anche se decisamente basata su un impianto tragico, è comunque fiduciosa nella presenza di una giustizia divina o comunque soprannaturale. Mia nonna non è mai stata molto religiosa, ma è convinta che, sempre e comunque, il male fatto ritorni indietro come un boomerang.
Tottu si pagada in su mundu, tutto si paga nel mondo, è il suo motto.
E lo pronuncia, ergendosi dritta come l’angelo vendicatore e sorridendo con soddisfazione, quando apprende, ad esempio, che qualche sua conoscenza che aveva trascurato i genitori nella malattia, è stata a sua volta abbandonato dai figli oppure ha avuto un ictus.
“Stiamo attenti quando facciamo del male a qualcuno Elisa” mi diceva una volta, “un giorno potrebbe tornare indietro!”
“Anche il bene che facciamo, nonna?”chiedevo sorridendo.
Mi guardava dubbiosa e non mi rispondeva. Troppo ottimismo.

[1] “Una passata della fame del quarantatré.”

Immagini della famiglia Desogus: a sinistra Claudia Desogus, a destra la figlia e la mamma

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